Era stato lo stesso imperatore romano Caligola a insignire del titolo di re della Giudea questo suo modesto vassallo. Il suo nome era Erode Agrippa I ed era nipote del terribile e potente Erode il Grande, quello della strage degli innocenti alla nascita di Gesù. Il titolo gli era stato assegnato nel 37, ma sarà solo nel 41 che egli riuscirà a gestire questa regione che aveva come capitale Gerusalemme. Anche Erode Agrippa I aveva seguito l’esempio della crudeltà del nonno e aveva iniziato a reprimere la comunità fiorente dei cristiani.
Aveva, così, eliminato colui che era un personaggio rilevante nella comunità gerosolimitana, l’apostolo Giacomo, fratello di Giovanni, entrambi figli di Zebedeo. Aveva, poi, arrestato anche Pietro, così da decapitare quella che considerava una pericolosa setta, invisa al resto della popolazione giudaica. A questo punto lasceremmo al nostro lettore di prendere in mano la sua Bibbia e di seguire il racconto quasi filmico della vicenda carceraria dell’apostolo, presente nel c. 12 degli Atti degli Apostoli.
Piantonato da due soldati, legato con due catene, Pietro è improvvisamente liberato nella notte dall’irruzione sfolgorante di un angelo, che lo guida oltre due postazioni di sentinelle carcerarie e il portone di ferro della prigione. Stupenda è la rappresentazione di questo evento prodigioso nelle Stanze di Raffaello in Vaticano. In quell’affresco la luce che contorna l’angelo riesce a stampare su tutta la scena la nera grata ferrea della prigione, mentre ai lati le due guardie rimangono bloccate nelle loro armature, simili ai manichini vuoti dei guerrieri presenti in certi castelli.
A questo atto centrale Raffaello ha accostato altri due momenti notturni. A destra Pietro avanza libero e trasognato. A sinistra l’agitarsi del corpo di guardia è delineato dalla fiaccola retta da uno di loro e da una luna che si affaccia nel cielo estivo velato di nubi con il suo irraggiare luminoso sulle corazze e sui volti eccitati dei carcerieri. Noi, però, abbiamo riservato tanto spazio a questo evento perché il suo sbocco ci permette di intravedere due volti femminili.
Pietro, libero, corre nella casa di una certa Maria, proprietaria di un palazzo con un portale d’ingresso al quale l’apostolo bussa freneticamente. Ad aprire è una domestica di nome Rode, in greco Rosa, che rimanda a un fiore, forse evocato anche nella Bibbia, nonostante diverse identificazioni (Isaia 35,1; Cantico 2,1). Maria è «la madre di Giovanni detto Marco» il quale appare più volte negli Atti degli Apostoli (12,25; 13,5.13; 15,37-38). Sarà vicino a san Paolo a più riprese, come si evidenzia anche nelle sue lettere (Colossesi 4,10; Filemone 24; 2Timoteo 4,11).
Pietro lo cita esplicitamente nella sua Prima Lettera: «Vi saluta la comunità che vive in Babilonia [Roma] e anche Marco, figlio mio» (5,13). La tradizione riconosce in lui l’autore dell’omonimo Vangelo. Maria, sua madre, di primo acchito non cede a Rode: «Tu vaneggi!». Ma Pietro «continuava a bussare e, quando aprirono e lo videro, rimasero stupefatti» (12,16). Dopo aver narrato la sua avventura e aver chiesto di riferirla anche a Giacomo, il «fratello del Signore» che allora reggeva la Chiesa di Gerusalemme, «uscì e se ne andò in un altro luogo» (12,17).