In questo tempo di Coronavirus seguo con maggior frequenza le celebrazioni trasmesse in Tv con il proposito di viverle nel miglior modo e non da spettatore passivo (come suggerito anche dal parroco della mia comunità). Ringrazio tutti coloro che hanno dedicato risorse e tempo per la realizzazione dei programmi. La preghiera di supplica del Papa e la via Crucis in modo particolare mi hanno aiutato a “pregare”. Vorrei però far presente il ricorso a lunghi testi cantati, soprattutto nelle funzioni pasquali (qualche volta in latino, lingua sconosciuta alla maggior parte delle persone), che a mio parere hanno reso la partecipazione più difficoltosa e talvolta contrariato fino a interrompere la partecipazione. La lettura, cantata o no, di lunghe parti dei testi sacri non ne facilita la comprensione.
Mi sembra che il canto insistito escluda i fedeli rendendoli sempre più “spettatori”. Non mi riferisco ai canti conosciuti quasi da tutti e quasi da tutti partecipati, ma al voler cantare i responsoriali e riempire ogni spazio possibile senza lasciare un momento di silenzio per la preghiera personale, quasi ci fosse paura del silenzio. Riscontro nelle persone che frequento l’esigenza di riti più essenziali, più comunicativi, più esplicativi della “Parola”, che non trasformino le celebrazioni in qualcosa che si avvicina a una rappresentazione. Io settantenne ho queste sensazioni e penso che per un giovane d’oggi sia ancora più difficile partecipare a celebrazioni che dovrebbero trasmettere il messaggio cristiano. Infine, una difficoltà crescente è per me quella dell’esistenza di un rito “ambrosiano” e uno “romano” con letture diverse, come oggi Lunedì dell’Angelo o comunque in diversi periodi dell’anno, così da trovarmi con il Papa che commenta un brano di Vangelo e aver partecipato a una Messa che parlava di qualcosa di diverso.
BRUNO GALIMBERTI - Desio (Mb)
Anche altri hanno scritto sui canti in latino nelle Messe in tv, specialmente quelle trasmesse da San Pietro e presiedute dal Papa. La sensibilità di ciascuno va rispettata e in effetti per tanti di noi, abituati alla frenesia del mondo attuale, è difficile mettersi in sintonia con la forza evocativa dei canti che non conosciamo, specialmente se in una lingua non più usata. Nella Veglia pasquale, tra l’altro, in apertura si è cantato come di consueto l’Exsultet, l’annunzio della Pasqua, un testo antico (risale al IV secolo) ma molto lungo. Da notare che la Veglia in San Pietro è stata abbreviata, come previsto dalle norme liturgiche, omettendo alcune letture con il rispettivo salmo responsoriale.
Per partecipare alle celebrazioni pasquali con maggiore serenità e consapevolezza sarebbe stato utile approfondirne le caratteristiche, seguendo i testi dal libretto (che si poteva scaricare dal sito del Vaticano). Forse c’era anche bisogno di una catechesi specifica. L’esistenza di diversi riti liturgici (oltre al romano e all’ambrosiano ce ne sono altri) esprime la ricchezza di forme della preghiera, pur nella celebrazione dell’unico mistero di Cristo. Le differenze dipendono dalle diverse aree geografiche e culturali in cui la Chiesa si trova (per approfondire cfr. Catechismo della Chiesa cattolica 1200-1206). Penso comunque chfle, anche se il Papa commenta un Vangelo diverso da quello usato quel giorno nel rito ambrosiano, le sue riessioni siano sempre utili e valide.