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martedì 10 settembre 2024
 
Libri, il buono e il cattivo Aggiornamenti rss Paolo Perazzolo
Responsabile del desk Cultura e spettacoli

La relazione maestra-alunno secondo Michela Murgia

Michela Murgia rivisita in maniera personale e profonda uno dei topos letterari, e, prima ancora, una delle esperienze fondamentali dell’esistenza: il rapporto fra allievo e maestro. In Chirù (Einaudi) l’allievo è un ragazzo di 18 anni, violinista; la maestra, Eleonora, è un’attrice affermata, di vent’anni più vecchia di lui. E’ lui a scegliere lei, a chiederle di fargli da maestra.

Dopo alcune titubanze, lei accetta: non tanto per un’affinità elettiva, quanto perché i due - spiega Eleonora stessa, voce narrante del romanzo - riconoscono nell’altro il “marcio” che è in loro. Inizia così questo insolito rapporto, nel quale, lo si sarà capito, la parola maestra non ha nulla a che fare con l’insegnante che dalla cattedra fa lezione ai ragazzi. È un addestramento alla vita, ai sentimenti, alla consapevolezza del proprio modo di porsi, al saper stare nella società che conta, alla conquista dei mezzi necessari per perseguire gli obiettivi… Se la protagonista di Accabadora (il romanzo vincitore del Campiello che sei anni fa aveva rivelato l’autrice) aveva la funzione di accompagnare alla morte, qui la protagonista si incarica al contrario accompagnare alla vita.

I capitoli, scanditi come lezioni, raccontano ad esempio di una visita in sartoria, affinché Chirù non solo impari a vestirsi esprimendo una precisa identità e trasmettendo all’esterno un altrettanto preciso messaggio, ma anche sappia riconoscere, nell’abbigliamento altrui, l’identità sociale, economica, intellettuale. Raccontano, ancora, di una festa con la gente “importante”, in cui pochi sono i rapporti autentici, ma molti i vantaggi che si possono trarre, con la conseguenza che bisogna saper “fingere”…

Mentre Eleonora descrive le varie lezioni, apre dei flashback sul suo passato, su quando viveva in una famiglia dominata da un padre violento e rozzo, con una madre succube del marito che non sapeva opporsi alla sua volontà. Un’infanzia dura e triste, forse quel marcio che l’attrice di successo porta impresso come un marchio. Non stupisce che la donna abbia scelto - una decisione consapevole, dice la protagonista, non una casualità - di restare da sola, non sposata e senza figli. Quale sia il marcio che l’allievo Chirù custodisce in sé trapela il giorno in cui Eleonora incontra i genitori del ragazzo: persone semplici, forse fin troppo semplici, del tutto estranee al percorso intellettuale e spirituale del figlio che, sotto questi punti di vista, è dunque orfano…

Eleonora è convinta di tenere le redini di questa relazione, di controllare e gestire ogni passaggio e ogni dinamica. Un vecchio amico, anch’egli maestro, la mette in guardia più volte sui rischi di questo rapporto. Che, come ogni rapporto, non è possibile controllare, essendo imprevedibile nelle sue svolte e nelle sue accelerazioni. Chirù apprende molto da Eleonora, certo, ma anche la donna viene sorpresa in più situazioni dalla velocità di apprendimento dell’allievo. Tanto che è lecito domandarsi: chi occupa una posizione dominante in questa relazione? chi controlla l’altro? e chi sta manipolando, e magari sfruttando, l’altro?

Quando il legame fra Eleonora e Chirù tende a farsi fin troppo intenso e ambiguo, l’incontro con un uomo, durante una tournée in Svezia, costringerà la donna a rivedere non solo il rapporto con il ragazzo, ma anche le scelte fondamentali della sua stessa esistenza.

È davvero notevole la capacità di Michela Murgia di dare parola ai sentimenti, alle sfumature dell’animo, alle pieghe psicologiche di questa non comune relazione fra un allievo e una maestra. Ogni frase della sua scrittura si insinua nelle zone nascoste dell’animo umano, ora illuminando un dettaglio, ora smontando un pregiudizio, ora aprendo lo sguardo a nuovi orizzonti. Una scrittura raffinata, esigente con il lettore, ma capace di restituirgli molto. Verrebbe da dire che il suo stile narrativo è “spirituale”, per la forza con cui - in un romanzo nel quale, in fondo, non accade molto in termini di azione - scandaglia le dinamiche, le paure, il rimosso, le speranze e le aspirazioni che abitano ciascuno di noi. Già Socrate, d’altra parte, intendeva la relazione di un maestro con un alunno come un colloquio fra anime.

Oggi sappiamo quanto sia grande il bisogno di maestri, a causa della loro drammatica assenza. Il libro di Michela Murgia ricorda che non sempre può essere la famiglia il luogo in cui avviene questa educazione - Eleonora rigetta la sua famiglia d’origine, Chirù vive come un alieno in casa -, che ognuno deve trovarsi il suo educatore. Iniziando un’avventura spirituale densa di significati e, al tempo stesso, insidiosa, dagli sviluppi imprevedibili.

Poco prima di pubblicare il libro, Michela Murgia ha aperto un profilo su Facebook a nome di Chirù, il suo personaggio, aggiornandolo con una serie di post come se fosse lui stesso a parlare. Quando poi l’autrice, invitata a una trasmissione televisiva, alla richiesta di parlare del suo libro ha opposto un garbato diniego, spiegando che non le sembrava opportuno intrattenersi sul suo romanzo dopo che in trasmissione si era parlato lungo delle stragi perpetrate dall’Isis, Aldo Grasso sul Corriere delle Sera ha insinuato il sospetto che questa e quella - il rifiuto di parlare del testo e il profilo Facebook - fossero due abili mosse di marketing. Potrebbe essere, non si può escluderlo, ma ci piacerebbe che altri scrittori imitassero la collega sarda in questa sobrietà, in questa misura delle parole: astenersi dall’aggiungere parole a parole, in molti casi, è un atto coraggioso e costruttivo. Una prima lezione da apprendere per chi riempie la vita di parole vacue.


16 dicembre 2015

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