Caro don Stefano, seguo con apprensione e grande dolore la controversa questione dei migranti, alla quale incoscientemente nessuno dei paesi europei vuole trovare soluzioni che mettano in atto una partecipazione decisiva e incondizionata ai problemi di questi popoli cosi duramente provati al punto di dover fuggire dal proprio paese. Mi chiedo se è possibile che i cristiani non facciano sentire coralmente la loro voce, il loro dissenso.
Cosa facciamo noi che frequentiamo la Messa domenicale, che conosciamo a memoria le parole del Maestro, specie quelle che parlano di accogliere il forestiero, soccorrere l’orfano e la vedova, dare il cibo a chi ne è privo? È possibile che non riusciamo ad aggregarci per formare un movimento di opinione forte che inchiodi i potenti alle proprie responsabilità?
Sara Perli
Cara Sara, forse anche questo è il riflesso della mancanza di un’azione politica unitaria dei cristiani, che un tempo era favorita da vari fattori come l’esistenza di un partito che esplicitamente in quei valori si riconosceva (la Dc) e l’attitudine, oggi più ridotta di un tempo, alla mobilitazione per presentare sulla scena pubblica istanze ritenute importanti. Lo stesso può dirsi per altri temi per noi importanti, come l’aborto o l’eutanasia.
Si assiste magari ad aggregazioni parziali di persone che hanno una certa sensibilità particolare verso un tema piuttosto che un altro, ma non si raggiunge (quasi) mai una massa critica e un movimento d’opinione che sappia coinvolgere anche chi sta “fuori”. Esiste però, per fortuna, anche l’altra faccia della medaglia: sono tantissimi, infatti, i credenti impegnati in prima linea sulle tante povertà. Si preferisce agire sul terreno che tentare un’azione politica.
Sfiducia nella politica? Paura che i temi diventino divisivi all’interno della comunità cristiana? Prevalere di una coscienza morale individuale su quella comunitaria? C’è materia per riflettere.