Da Baghdad - Mimetica, kalashnikov e uno scaldacollo alzato sul viso per proteggersi dal freddo del mattino. Ventiquattro ore filate di turno (e poi ventiquattro di riposo) in una una stretta strada della capitale dove ci sono alcuni "obiettivi sensibili", chiusa ai due capi da pesanti blocchi di cemento destinati a impedire il transito alle autobomba.
Si chiama Nabil, fa il poliziotto in una delle città più pericolose del mondo, Baghdad. L'ho accostato perché i suoi occhi, l'unica cosa che spuntava dalla divisa, era con evidenza quelli di un ragazzo. E infatti ha 25 anni e fa questo lavoro da sei. Gli chiedo se non ha paura a starsene lì, la notte, con un mitra in mano. "Certo che no", risponde, rivelando ancor più la giovane età, "è il lavoro che ho scelto, come posso avere paura. E poi lo faccio ormai da sei anni, ho una certa esperienza".
Nabil andava a scuola. "Poi mio padre si è ammalato, le medicine costano molto e io sono il maschio di casa, era mio dovere provvedere. Così mi sono arruolato. All'inizio è stata dura ma adesso va meglio, prendo 600 dollari al mese, non è male". So che molti dei poliziotti, sfruttando i turni, arrotondano guidando un taxi. Nabil dice che no, lui fa solo il poliziotto.
E i tuoi amici? "Ne ho tanti ma sono quasi tutti poliziotti come me". E che fate per divertirvi? "Ci troviamo a casa di uno o dell'altro, beviamo qualcosa (Nabil è cristiano, quindi può bere alcolici, n.d.r), chiacchieriamo, sentiamo la musica. Anche da voi è così, no?". Certo, anche da noi. Solo che da noi non fanno saltare i negozi che vendono vino o birra, 7 morti solo la settimana precedente, tra i quali tre ragazzi sorpresi a bere per strada da una banda di musulmani arrabbiati. Buona fortuna, Nabil.