Una scultura commemorativa dei ragazzi di via Pal a Budapest.
Piccolo aneddoto personale di una iniziazione alla letteratura, al potere e al fascino della lettura. Sto leggendo a mio figlio Pietro, neanche otto anni (l'altro, Ettore, di sei, è meno interessato), I Ragazzi della via Pal di Ferenc Molnár (1906) nella bella versione per ragazzi della serie "Grandi storie" della Piemme.
La sfida fra le due bande lo appassiona, come pure gli atti di eroismo, i tradimenti, l'amicizia... Dopo la grande battaglia per non cedere ai nemici il campo di gioco, arriviamo al punto in cui Nemecsek muore. Nemecsek, per chi non lo sapesse, era il membro più fragile, meno considerato e più basso in grado della banda dei ragazzi della via Pal. Grazie ad alcuni atti di coraggio, viene promosso capitano, ma non potrà godersi troppo la promozione, perché, ammalato, morirà.
La morte del piccolo eroe viene raccontata con delicatezza, evocata metaforicamente, più che descritta. Eppure, letto quel passaggio, avverto che qualcosa in Pietro, accanto a me, è mutato. Si è fatto serio e triste, ha le lacrime agli occhi. «Qualcosa non va, Pietro?». «Nemecsek non doveva morire», è la sua risposta, sussurrata perché è sul punto di piangere. Provo a dire che, comunque, muore da eroe, amato e ammirato da tutti. E che il suo sacrificio permetterà alle due bande nemiche di fare pace. «È la prima volta che leggiamo un libro che va a finire male», ribatte. «I protagonisti di solito non muionono, altrimenti la storia finisce...».
Sono commosso come e forse più di lui, perché penso che, ora, ha scoperto la forza e il fascino della letteratura. Che altro non sono che la forza e il fascino della vita.