Allieve di una scuola cristiana a Gerusalemme.
Oggi, in Israele, comincia la scuola. Ma non per tutti: 30 mila ragazzi, cristiani e musulmani, non potranno entrare in classe e tremila insegnanti non potranno tornare in cattedra a causa del contrasto che oppone le 47 scuole cristiane del Paese al locale ministero dell'Educazione, gestito dall'ex industriale del software Naftali Bennett, che è anche ministro dell'Economia e leader del partito della destra religiosa Casa ebraica.
La questione si trascina da molti anni. Le scuole cristiane, infatti, sono per la legge di Israele "scuole legalmente riconosciute ma non pubbliche", a differenza delle scuole ebraiche non statali, tutte "ufficiali". Questa differenza di status ha permesso al Ministero di ridurre via via, nel corso degli anni, soprattutto negli ultimi cinque, la quota di finanziamenti alle scuole cristiane, oggi ridotta del 45%. Non contento, il ministero di Bennett ha anche imposto un tetto alle rette che le scuole possono chiedere alle famiglie degli alunni. Essendo le rette, insieme con la raccolta fondi, il principale mezzo di sopravvivenza per queste scuole, è chiaro che i provvedimenti del Ministero spingono molte di esse verso la chiusura.
I responsabili delle scuole cristiane (che, tra l'altro, sono spesso ai primi posti in Israele per la qualità dell'insegnamento e i risultati ottenuti) hanno trattato per otto mesi. E il 27 maggio avevano tenuto una massiccia dimostrazione presso la sede del Ministero che aveva spinto il presidente della Repubblica Rivlin a convocare le parti per riavviare il negoziato. Ma nulla è servito e così le scuole cristiane di Israele ora sono in sciopero a tempo indeterminato.
E' difficile non leggere in questa vicenda, oltre a una conferma degli orientamenti del Governo Netanyahu, sempre più orientato a ridurre la natura plurale, multietnica e multireligiosa dello Stato ebraico, anche una sorta di "vendetta" per l'accordo siglato in giugno dallo Stato Vaticano con l'Autorità palestinese.