Lo Zini è un piccolo San Siro, uno di quegli stadi in cui gli spalti arrivano in campo, la partita si vede bene dappertutto. Dunque non ci sono scuse. Domenica, durante Cremonese-Cittadella, non tutti però hanno seguito alla lettera le prescrizioni di sicurezza scritte sul biglietto nominale: tra queste in particolare il mantenimento del posto assegnato, per garantire il distanziamento e consentire il tracciamento nel malaugurato caso in cui si fosse verificata una positività e l’uso corretto delle mascherine. Lo stadio, si sa, ha i suoi rischi: è un posto dove si urla a squarciagola e, proprio per questo, anche se si è all’aperto le goccioline di saliva potenzialmente migrano più lontano, e allora diventa importante tenersi al proprio posto e tenere la mascherina correttamente indossata, a coprire bocca e naso, non sul gomito stile borsetta per signora, non a fare da sciarpetta a coprire il doppio mento, non a mezzo guado sotto il naso.
Il fatto è che domenica qualcuno allo Zini (e in chissà quanti altri stadi), complice l’euforia della prima di campionato di Serie B, si è (eufemisticamente) distratto e i richiami dello speaker non sono bastati a riportare tutti alla dovuta attenzione. La Cremonese, però, non ha ragionato come spesso abbiamo sentito fare al mondo del calcio in questo periodo, con grandi spinte per riaprire di più Covid permettendo o meno. Il giorno dopo a bocce ferme, avuto un confronto con le autorità competenti, la società ha dato un segnale coraggioso e (a costo di rimetterci) ai pochi indisciplinati sui suoi mille tifosi presenti allo stadio, prendendo una decisione impopolare: mercoledì la partita casalinga di Coppa Italia Cremonese-Arezzo si giocherà a porte chiuse, per scelta della società grigiorossa.
Un fatto di responsabilità nei confronti della salute collettiva, in una città che per il Covid 19 ha già molto sofferto. Se è vero che da qui è partita l’immagine dell’infermiera crollata a fine turno, diventata l’icona mondiale del dolore dell’Italia prima Nazione occidentale a fare i conti con la pandemia e con l’enorme sofferenza che ha causato. Un fatto di responsabilità che ci si prende e che si chiede a tutti e a ciascuno di prendersi per sé e per gli altri, perché mai come adesso da essa dipendono la salute e la vita propria e altrui. La speranza ovviamente è che anche quei pochi avranno imparato la lezione in tempo per la prossima di campionato quando sono annunciati controlli ancora più stringenti. E vien da pensare che se tutti quelli che hanno responsabilità di luoghi frequentati da più persone, all’aperto e al chiuso, facessero (e avessero fatto in estate) come ha fatto oggi la Cremonese, forse la curva che vediamo salire sarebbe più facile da controllare, forse potremmo sperare di uscire prima da questo incubo.