Tra i tanti commenti, arrivati via Facebook, al blog sul 23 maggio, qualcuno ha ammesso che anche gli adulti, non solo i ragazzi, fanno fatica a ricordare i nomi e le storie delle persone che di Giovanni Falcone, per amore o per dovere, hanno condiviso la sorte. Spero che a nessuno dispiaccia se di qui in avanti, mi prenderò la libertà di snaturare un po' e per poche volte la riflessione estemporanea del blog, per colmare in breve questi buchi. In fondo Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo alle regole del gioco hanno sacrificato la vita. Sapere chi sono è l'unico modo che abbiamo per impedire che il loro sacrificio sia stato inutile.
Cominciamo con Francesca
Nelle prime immagini dell'autostrada divelta e della Croma bianca distrutta che sono rimaste negli occhi di chiunque avesse l'età della ragione il 23 maggio 1992, si vede una scarpa da donna scura a mezzo tacco. Il ricordo di Francesca Morvillo comincia da lì da quel frammento innegabilmente femminile nel mezzo del disastro. Francesca aveva 46 anni, da sei era la moglie di Giovanni Falcone. Anche lei magistrato, sulle orme della famiglia, lavorava - nel ricordo di chi la conosceva - con passione, sensibilità e competenza alla Procura presso il tribunale per minorenni di Palermo.
Francesca e Giovanni si erano conosciuti già adulti, a casa di amici, davanti la prospettiva di una vita complicata dal rischio, da una protezione asfissiante, dal disagio di cittadini che vivevano il cicalino delle auto blindate come un peso e che non si peritavano di nasconderlo. Per sicurezza e forse pure per discrezione si sposarono in semicandestinità, in un pomeriggio di maggio del 1986, con i soli testimoni: un'amica di Francesca e Antonino Caponnetto. Falcone diceva scherzando: «Come due ladri».
Rubare tempo, per parlarsi, per vedersi, depistando chi li aveva nel mirino era del resto pane quotidiano. Corre voce che Falcone, per proteggerla in uno dei momenti più esposti, avesse pensato a una separazione simulata e che Francesca non abbia accettato.
Di certo li univa la condivisione, compresa la consapevolezza del pericolo, fino a decidere di «non mettere al mondo orfani», sacrificio estremo di chi sentiva che il suo vivere sarebbe stato corto e destinato a una fine traumatica. Maria Falcone, sorella di Giovanni, nel suo libro Giovanni Falcone un eroe solo, scritto con Francesca Barra, ricorda che la riservatezza di Falcone, dalla morte di Chinnici in avanti, si era fatta via via più impenetrabile e che, da quando c'era, era Francesca Morvillo a far «da ponte» con la famiglia. Per precauzione non si muovevano mai assieme, Giovanni e Francesca, solo quel 23 maggio Falcone che rientrava da Roma a Palermo la aspettò. Francesca era a Roma, commissario d'esame al consorso per magistrati.
Paola Di Nicola, una delle ragazze, che oggi è giudice a Roma grazie a quel concorso, conserva l'immagine di una donna di sguardo dolce e sobria eleganza «Ricordo che quando passò vicino a me, la guardai con ammirazione mentre proseguiva il suo cammino, calmo e silenzioso, per controllare le file di aspiranti magistrati angosciati dalla prova. Sapevamo che quella donna era giudice a Palermo. Per noi, ragazzi e ragazze, chini sui fogli da ore era una funzione mitica, che rievocava impegno giudiziario e civile e imponeva coraggio». Solo poche ora dopo, si sarebbe capito quanto.
(1 - continua)