Sperare. Sperare sempre. Anche quando umanamente può sembrare sconsiderato e irragionevole. Sperare mentre intorno è buio e non avere paura di “lamentarsi con Dio”, perché anche questa è una forma di preghiera. Ecco, in estrema sintesi, il contenuto della catechesi che papa Francesco ha tenuto questa mattina, durante l'ultima udienza generale del 2016, nell'aula Paolo VI in Vaticano.
Prosegue, così, la riflessione sulla speranza cristiana, un tema che Francesco sta affrontando da diverse settimane. Quest'oggi, a ispirare la catechesi, è stata la figura di Abramo, padre delle tre grandi religioni monoteiste, l'archetipo di chi antepone la promessa di Dio ai ragionamenti umani. Di lui San Paolo, nella lettera ai Romani, scrive: “Egli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli” (Rm 4,18). Proprio da queste parole ha preso avvio la riflessione del Papa. «“… saldo nella speranza contro ogni speranza”: è duro questo, eh? Questo è forte: non c’è speranza, ma io spero. E così il nostro padre Abramo. San Paolo si sta riferendo alla fede con cui Abramo credette alla parola di Dio che gli prometteva un figlio. Ma era davvero un fidarsi sperando “contro ogni speranza”, tanto era inverosimile quello che il Signore gli stava annunciando, perché egli era anziano – aveva quasi cento anni – e sua moglie era sterile... Ma lo ha detto Dio e lui credette».
«Confidando in questa promessa», ha proseguito il Santo Padre, «Abramo si mette in cammino, accetta di lasciare la sua terra e diventare straniero, sperando in questo “impossibile” figlio che Dio avrebbe dovuto donargli». Ha inizio così un cammino aspro, a tratti doloroso, tanto che, «anche per Abramo, viene il momento della crisi di sconforto. Si è fidato, ha lasciato la sua casa, la sua terra, i suoi amici… Tutto. É partito, è arrivato nel paese che Dio gli aveva indicato, il tempo è passato... ma il figlio non viene». Ed è proprio nel commentare questo stato d'animo che Francesco ha toccato una dimensione, umanissima, della speranza. «Abramo», ha detto, parlando a braccio, com'è nel suo stile, «non dico che perda la pazienza, ma si lamenta con il Signore. E questo impariamo dal nostro padre Abramo: lamentarsi con il Signore è un modo di pregare. Delle volte io sento, quando confesso: “Eh, mi sono lamentato con il Signore …” e io rispondo: “Ma no! Lamentati, Lui è Padre!”. E questo è un modo di pregare: lamentati con il Signore, questo è buono».
Per il cristiano, infatti, la fede non è una fiducia stolida, fredda e innaturale, ma è sempre impastata del quotidiano, con il suo dolore e le sue incomprensioni. La fede è un dialogo: «Non è solo silenzio che tutto accetta senza replicare». E la speranza «non è certezza che ti mette al sicuro dal dubbio e dalla perplessità. Ma tante volte, la speranza è buio; ma è lì, la speranza… che ti porta avanti. Fede è anche lottare con Dio, mostrargli la nostra amarezza, senza “pie” finzioni». «Abramo dunque», ha osservato il Papa, «nella fede, si rivolge a Dio perché lo aiuti a continuare a sperare. È curioso, non chiese un figlio. Chiese: “Aiutami a continuare a sperare”». E il Signore rispose insistendo con la sua inverosimile promessa, di cui leggiamo nella Genesi: “Guarda in cielo e conta le stelle, Tale sarà la tua discendenza” (Gen 15,5). «È questa la fede», ha concluso il Pontefice, «questo il cammino della speranza che ognuno di noi deve percorrere. Se anche a noi rimane come unica possibilità quella di guardare le stelle, allora è tempo di fidarci di Dio. Non c’è cosa più bella. La speranza non delude».
Terminata la catechesi, nel clima gioioso tipico del tempo di Natale, Francesco ha assistito all'esibizione di alcuni artisti del Golden Circus di Liana Orfei. Come già aveva fatto in passato, si è lasciato coinvolgere dallo spettacolo. Un prestigiatore gli si è avvicinato con il suo tavolino “magico”, poi Liana Orfei gli ha appoggiato sulle mani due pappagallini. Lui ha accolto tutti col sorriso e ha commentato «La bellezza sempre ci avvicina a Dio». Prima di congedarsi da fedeli e pellegrini giunti da ogni angolo del pianeta, il Santo Padre ha voluto rivolgere un pensiero alla famiglia di Nazareth e alle famiglie di oggi. In particolare ai giovani sposi: «Io li chiamo “i coraggiosi”», ha detto, «perché ci vuole coraggio per sposarsi e farlo per tutta la vita». E ha concluso con una frase che gli è cara: «Non finite la giornata senza fare la pace tra voi».
Lorenzo Montanaro