La tragedia di Vasto dovrebbe, nella sua drammaticità, averci dimostrato che l’emotività è cattiva consigliera. S’è detto: «La giustizia lenta non è giustizia», ma in questo caso non c’erano state lentezze, solo il corso naturale delle indagini. La storia insegna che sono esistiti nei secoli processi velocissimi perché sommari: ci si metteva poco – in certi posti del mondo accade ancora - ad appendere il primo sospettato al primo ramo, senza andare tanto per il sottile.
Lo Stato di diritto è stato una conquista: il processo è nato proprio per togliere linfa alla spirale di vendette private, che una volta partita può non finire mai. Funzionava così prima che il diritto mettesse ordine negli istinti.
Come ogni cosa umana la giustizia è imperfetta ma quella che è in funzione nelle democrazie pluraliste è la meno ingiusta che la storia abbia saputo darsi fin qui. Conserva certo dei limiti, che si ha il dovere di perfezionare, ma resta infinitamente preferibile alla spirale di dolore, che la vendetta, porta con sé e che, se la si lascia andare al suo decorso, alla lunga può diventare faida.
Chi è travolto dalla sofferenza può non capirlo, può perdere il lume della ragione, ma la comunità intorno (oggi allargata a dismisura da Internet) non può smettere di ragionare, ha il dovere di conservare, pur partecipando, la razionalità. Diversamente si regredisce alla società pregiuridica, al giudizio della piazza: eppure noi che abitiamo questa comunità di byte e di carta dovremmo aver presente, anche più di altri da almeno 2.000 anni, che la piazza, senza regole, di solo istinto, può liberare Barabba e condannare Gesù, in perfetta buona fede.
Ps. Sarebbe utile ricordarlo anche quando si scrivono nuove leggi: raramente si migliora la giustizia mirando al consenso popolare prima che alla buona tecnica legislativa.