Militanti di Hamas a Gaza (Reuters).
Ricordate il caso del sergente di prima classe Gilad Shalit, il carrista dell'esercito israeliano che il 25 giugno 2006 fu rapito da un commando di Hamas (mentre altri due soldati israeliani, Ehud Goldwasser ed Eldad Regev subivano analoga sorte, venendo però uccisi sul posto, da parte di Hezbollah sul confine col Libano) e poi detenuto nella Striscia di Gaza fino alla liberazione avvenuta il 18 ottobre 2011?
Per lasciarlo andare, quelli di Hamas negoziarono la liberazione di palestinesi detenuti nelle prigioni di Israele. Alla fine, i prigionieri liberati furono 1.027. Molti di questi sono tornati in prigione. Nel maggio del 2014 una sessantina, accusati di non rispettare le condizioni pattuite al momento della liberazione. E nel giugno successivo, quando tre ragazzi israeliani furono sequestrati e uccisi da un commando di Hamas, altri cinquanta.
Quel che è certo è che dal 2014 a oggi ben sei israeliani sono stati uccisi da militanti tornati in libertà in quell'accordo. L'ultimo caso è quello dell'assassinio di Mordechai Rosenfeld, ucciso (e con lui altre tre persone ferite) presso l'insediamento di Alon Shvut da parte di un commando diretto da Ahmed Najari (liberato nel "caso Shalit", deportato a Gaza, da lì passato in Giordania e poi nei Territori della Cisgiordania) e coordinato con l'ufficio di Hamas di Istanbul, diretto da Salah al-Arouri, anche lui entrato nel pacchetto del "caso Shalit".
Tutto questo è di spunto ad almeno due riflessioni. Si può essere ragionevolmente scettici sul fatto che dei giovani palestinesi diventati terroristi per Hamas, cresciuti sotto l'occupazione e nell'odio per Israele, detenuti più o meno a lungo e poi deportati (molti per di più a Gaza) possano cambiar vita. Continueranno a essere un pericolo per i cittadini di Israele. E' inutile girarci intorno. Le autorità di Israele peraltro lo sanno molto meglio di noi, avranno fatto i loro calcoli.
Ma l'altra faccia della medaglia può essere positiva. Allo smantellamento della cellula diretta da Najari, infatti, hanno collaborato gli organi di polizia dell'Autorità palestinese. Persino lo Shin Bet, il servizio segreto interno di Israele, ha tenuto a darne notizia. Subito dopo, ai primi di luglio, la stessa polizia palestinese ha arrestato 250 militanti di Hamas in Cisgiordania, accusandoli di preparare attacchi terroristici. Al che i portavoce di Hamas hanno accusato i palestinesi di Al Fatah di lavorare per Israele.
Può anche darsi che tutto nasca dal crollo della riunificazione-farsa tra Hamas e Al Fatah. Ed è ovviamente doloroso che i palestinesi della Cisgiordania e quelli di Gaza debbano vivere separati. Ma non c'è futuro in nessuna forma di alleanza con Hamas, per i palestinesi. E c'è più sicurezza, non meno, per Israele nella collaborazione con i palestinesi di Cisgiordania.