La riflessione per giovedì 2 marzo - Parola del giorno: Matteo 7,7-12
La paura più grande che può far ammalare la nostra preghiera è convincersi che essa equivalga a un chiedere a cui non seguirà mai alcun risultato, a un cercare senza trovare mai ciò che si sta cercando, a un bussare senza che nessuno apra alcuna porta. Ma ci si ammala di questo tipo di paura quando ci si dimentica che Dio non è un vaga divinità ma un Padre che ci ama: “Chi tra di voi al figlio che gli chiede un pane darà una pietra? O se gli chiede un pesce, darà una serpe?
Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano!”. Dio non può mai rimanere indifferente davanti alla nostra preghiera anche quando noi siamo indegni di pronunciarla, e questo per un motivo molto semplice: ai suoi occhi siamo come figli, creature amate. La prova di quest’amore è Gesù che Egli ha mandato come una mano tesa verso ognuno di noi, e per il quale è stato disposto a morire in Croce affinché ciascuno trovi sempre una via d’uscita anche nel buio più profondo.
Quando si ha questa consapevolezza allora la nostra preghiera diventa fiduciosa e piena di gratitudine. Non è più preghiera disperata e carica di ansia, ma abbandono fiducioso nelle mani di un Padre che ha a cuore il destino di ciascuno di noi. È interessante però che la pagina del Vangelo di oggi si concluda con una indicazione che può illuminare la nostra vita: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti”. È un criterio di vita che non dovremmo mai dimenticare: vivere facendo agli altri ciò che desidereremmo per la nostra stessa vita. Quindi se vuoi essere amato, ama. Sei vuoi essere ascoltato, ascolta. Se vuoi essere perdonato, perdona.