Sono davvero scossa dopo aver visto quant’è successo in un paese del trevisano. La violenza e la cattiveria che si sono scatenate contro un gruppo di immigrati, colpevoli solo d’essere stati ospitati in alcuni appartamenti della zona, mi fanno ritornare col pensiero a quanto accadde nella Germania nazista con la caccia all’ebreo. Sono mamma adottiva di due ragazzi nati in Etiopia. Quando con mio marito iniziammo il percorso dell’adozione, circa vent’anni fa, mai avrei pensato di far crescere i miei figli in un Paese sempre più intollerante. Mi chiedo: come possiamo essere così insensibili verso chi è tanto disperato da rischiare la vita, fuggendo lontano dai propri affetti, in cerca di un destino migliore? Vivo nel Veneto, terra di grande emigrazione. Interi paesi del Sudamerica parlano ancora l’arcaico dialetto dei nostri avi emigrati. Come possiamo ignorare tutto ciò? C’è bisogno di invertire la rotta, rifondando la nostra convivenza su principi evangelici di apertura e accoglienza, per non essere alla mercé di chi specula sugli immigrati per motivi politici.
LILIANA
L’altro giorno, rileggendo gli scritti di don Tonino Bello, mi sono imbattuto in una frase quanto mai attuale, che è in sintonia con la tua preoccupazione, cara Liliana. «Io vengo dal profondissimo Sud», scriveva don Tonino, «e so cos’è la violenza dell’emigrazione, perché ho avuto i miei parenti sbattuti in tutte le parti d’Europa per trovare un po’ di pane. Noi stiamo ripetendo su altra gente, con una squallida nemesi storica, gli stessi delitti che altri hanno compiuto nei confronti dei nostri genitori. Ma questa è gente».