Mi rivolgo a lei, per un problema
che non so come risolvere da
solo. Il parroco della mia parrocchia,
arrivato da pochi anni, è benvoluto
per il suo approccio cordiale
con tutti. Ma questo suo fare, in
certi casi, facilmente crea imbarazzi
negli ascoltatori. Durante i funerali,
buona parte dell’omelia è dedicata
a raccontare la vita del defunto,
con notizie che ricava dai racconti
dei familiari, dato che lui non
ne ha conoscenza diretta. È successo
qualche tempo fa che, pur facendo
qualche accenno alle debolezze
e fragilità umane, abbia presentato
un imprenditore defunto in maniera
molto positiva, mentre almeno
una decina di suoi ex dipendenti,
presenti alla cerimonia, ricordavano
di aver subìto per anni trattamenti
ingiusti. E i suoi ex impiegati
sapevano di tentativi di evasione
fiscale. Non mi dilungo su altri
aspetti, come il suo amore per la famiglia,
mentre era risaputo che fosse
un “dongiovanni”. Naturalmente,
all’uscita di chiesa, si percepiva
qualche commento sarcastico. Non
ritiene che sia il caso, quando non
si conosce bene il defunto, di stare
un po’ più “sulle generali”?
A.M.
Di solito, dei morti non si può che
dire bene. Ma c’è un limite a tutto, a
cominciare dal rispetto della verità,
per non santificare all’istante chi invece
ha bisogno d’essere affidato alla misericordia
del Signore. Come tutti, d’altronde,
piccoli o grandi peccatori quali
siamo. Le esequie non sono il momento
delle lodi ma della preghiera,
che ci conforta nel dolore e ci fa comprendere
il mistero della morte alla luce
della risurrezione del Cristo.