Non è una novità che la giustizia penale diventi un argomento, talvolta anche strumentalmente, politico: da sempre il tema produce tensioni ideologiche e sociali, non per niente ogni volta che ne parliamo ci aggrappiamo a precedenti e archetipi molto antichi quali l’Antigone, tragedia greca di Sofocle rappresentata per la prima volta nel 442 a. C., o anche, per andare ancora più indietro, i passi biblici su Caino e Abele e su Salomone. Questo per dire che il modo con cui una società cerca di ristabilire l’ordine compromesso da un reato è di per sé tema intrinsecamente politico, nel senso più ampio.
In tempi più recenti, talvolta molto corrivi, sentiamo porre il problema in termini contrapposti di garantismo/giustizialismo. Spesso confondendo il significato reale di queste parole con la loro strumentalizzazione corrente. Una semplificazione molto brutale potrebbe portare a dire che storicamente le destre identificano la giustizia con il concetto di “legge e ordine”, le sinistre con “diritti e garanzie”, anche se poi la storia – anche la nostra recente – insegna che come tutte le semplificazioni brutali anche questa è fuorviante. Per non parlare di altre sintesi da social, quali “buttare le chiavi” e “liberi tutti”.
Nessuna di queste semplificazioni aiuta a capire, o meglio può sì servire a intuire quanto sia facile trasformare il processo penale e le sue riforme in uno strumento di contrapposizioni politiche dirette al consenso di corto respiro, ma di certo non rende l’idea del bisogno che ci sarebbe, invece, di studio, pacatezza e razionalità ogni volta che si ragiona di mettere le mani su un sistema che in realtà è molto complesso e in cui ogni ritocco poco meditato o poco armonizzato con il contesto rischia di produrre effetti paragonabili alla pretesa di riparare un orologio rallentandone e accelerandone a caso qualche rotella con prevedibili effetti di ulteriori guasti.
Va da sé che nessuna delle visioni semplificate di cui sopra potrebbe produrre, portata agli estremi, da una parte o dall’altra, una giustizia accettabile: la giustizia penale in un sistema democratico pluralista che si rispetti non può che trovare nell’equilibrio la sua ragion d’essere, in bilico com’è tra garanzie che non lascino il singolo sospettato schiacciato dalla sproporzione nella macchina dello Stato e la tentazione opposta di trasformare le garanzie in bizantinismi che impediscono al processo di andare a compimento; tra il bisogno di dare regole rigide al meccanismo processuale e la contemporanea esigenza di ragionevole durata e ragionevole efficienza; tra l'urgenza di tutelare la società e le vittime dirette dal sopruso dei comportamenti antisociali dei singoli e quella eguale e contraria di tutelare i singoli dal pericolo di essere ingiustamente accusati e sospettati, senza perdere di vista il principio di eguaglianza fissato nell’articolo 3 della Costituzione.
Sono tutte aspirazioni alla giustizia che si possono realizzare soltanto grazie a meccanismi complessi – spesso diversi da Paese a Paese - che si sono consolidati nei secoli, man mano che si affermava il principio democratico della separazione dei poteri, e che si concretizzano – fatti salvi i principi di fondo – in una quantità di soluzioni che sono in realtà tecniche e non riassumibili a slogan, e che spesso in quanto tali arrivano con difficoltà ai non addetti ai lavori.
Anche per questo in questi giorni vediamo un Governo traballare sulla prescrizione, su cui sentiamo una quantità di dibattiti in Tv che per la brevità del mezzo raramente riescono a entrare nel merito, mentre l’opinione pubblica si schiera con questo o con quello nell’illusione di aver compreso una questione molto più complessa e articolata di come la si pone. Ma se poi andiamo a grattare, come ha fatto nei giorni scorsi Nando Pagnoncelli, scopriamo che sei cittadini su dieci non hanno neppure un’idea vaga del merito della questione e pochissimi ne hanno un’idea chiara.
Pochissimi, poi, probabilmente si sono resi conto del fatto che tra lodo Conte bis e "riforma Bonafede" sulla prescrizione al consiglio dei ministri del 13 febbraio è entrata in dibattito anche una più articolata riforma del processo penale – per cui già c’era una legge delega – che sta preoccupando gli addetti ai lavori e che per ogni punto meriterebbe una trattazione approfondita e uno studio di fattibilità per evitare che tra una contraddizione e l’altra l’orologio della giustizia s'inceppi ulteriormente.
Ma se da un lato da un cittadino comune non possiamo pretendere che abbia un’opinione precisa su temi che richiedono studi approfonditi, dall’altro dalla classe politica dobbiamo pretendere, sugli stessi temi, il senso di responsabilità, l’umiltà di studiare e l’impegno a non strumentalizzare, perché solo così possiamo sperare in riforme che non si trasformino alla prova dei fatti in toppe peggiori del buco.