Caro direttore, ho 66 anni e mai avrei pensato di scrivere a un giornale. Leggo la vostra rivista fin da quando ho imparato a leggere. Oggi sono indignata e offesa dal comportamento dei nostri parlamentari, alcuni affetti da infantilismo cronico perché pensano solo a se stessi e al bene del loro partito, non certamente al bene degli Italiani. Sono al potere senza averne la capacità e la cultura, privi di ideali, senza alcun ritegno morale, schiavi del potere e del denaro.
Pochi e inascoltati sono quelli che si preoccupano dei veri problemi del Paese, che non sono il pasticcio del bonus 110 o del reddito di cittadinanza erogati senza controllo (facendo un favore alla malavita), o la quota 100 che hanno solo drogato e danneggiato la nostra economia (e lo dico come insegnante che ha lavorato 42 anni nella scuola), ma la dignità di avere un lavoro, di vivere in modo decoroso senza ricorrere all’assistenzialismo di Stato, di avere una scuola e una sanità che funzionano bene, di avere la capacità e la volontà di accogliere e di integrare i migranti, da qualsiasi parte essi vengano...
Gli Italiani hanno visto come agiva Draghi e come il nostro Paese è stato rivalutato e ha avuto credibilità in Europa e nel mondo come da anni non succedeva. Mi sentivo, penso, come molti altri concittadini in una botte di ferro, orgogliosa di ciò che faceva il nostro Paese: avevamo alla guida due galantuomini del calibro di Mattarella e Draghi, che pensavano solo al bene dell’Italia. Ora già si fanno sentire i flauti magici dei populisti: soldi e assistenzialismo per tutti, senza dirci che poi pagheremo tutto noi. Il paese di Bengodi non esiste! Spero che gli Italiani, che si sono spesso dimostrati migliori dei loro rappresentanti, non si lascino convincere da queste vuote promesse e che pensino al loro bene e votino i partiti che veramente vogliono il bene del Paese. Grazie per la possibilità che mi avete dato di esprimere la mia opinione, ma questa volta non potevo stare zitta! MARIA ANTONIA
Egregio direttore, sono purtroppo una vostra occasionale lettrice (per cause economiche) e oggi dopo giorni dal “colpo di calore” che ha colto la nostra classe politica, non posso fare a meno di scriverle, sperando che anche il colpo di tosse di una pulce possa essere udita. Vediamo che alla nostra classe politica non interessa se il costo della vita si è triplicato, se i posti lavoro sono precari (io l’ho perso). Loro si preoccupano di avere risposte, di indire nuove elezioni come se fossero una soluzione. Le vogliono? Le paghino di tasca loro! Ebbene le risposte le vogliamo noi Italiani da questi politici che vanno in pensione dopo tre legislature con pensioni non proprio popolari, che sono tutti spesati e non sono nemmeno capaci di parlare una seconda lingua, e forse nemmeno la prima. Vogliamo risposte da politici che hanno scambiato il Parlamento per una passerella. Dovrebbero essere denunciati per interruzione di pubblico servizio. UNA LETTRICE
Due tra le tante lettere che bene interpretano il nostro comune senso di smarrimento di fronte alla grave abdicazione della politica (e del buon senso...) a cui abbiamo assistito con le dimissioni del Governo Draghi. Specificato che le pensioni per i parlamentari maturano quando la legislatura supera i quattro anni, sei mesi e un giorno, (e questo avverrà per chi è al primo mandato il 24 settembre 2022, essendo l’attuale legislatura iniziata il 23 marzo 2018) e che l’emolumento verrà erogato al compimento dei 65 anni di età, resta un fatto che ci indigna: un governo dotato di grande considerazione internazionale, capace di guidare l’Italia in questa faticosissima pagina della storia, in cui si sommano fattori esplosivi di lungo e breve periodo, non ha raccolto la fiducia al Senato di tutti quei partiti che fino ad allora lo sostenevano. E questo per motivi molto pretestuosi, citati nella sua lettera da Maria Antonia.
Subito dopo, come da tradizione italica, è cominciato lo scaricabarile delle colpe che proseguirà - e in questo siamo facili profeti - per tutta la campagna elettorale. Padre Francesco Occhetta, che da anni si occupa di formazione politica dei giovani e acuto osservatore del mondo della politica, nonché nostro editorialista, così ha sintetizzato quello che è successo al Senato: «Conte ha aperto la crisi, Salvini l’ha cavalcata, Meloni l’ha capitalizzata e Berlusconi l’ha avvallata, svuotando per sempre le attese moderate e liberali di cui Forza Italia era portatrice. È stato sacrificato così Mario Draghi, il presidente riformatore che, nei suoi 523 giorni di governo, ha svolto il ruolo di garante del Paese grazie a tre caratteristiche determinanti: credibilità, competenza e rigore morale».
È preoccupante apprestarci a vivere una campagna elettorale, che durerà fino alle elezioni del 25 settembre, e una successiva fase di governo dove un risuscitato populismo rischia di distrarre dai veri problemi dell’Italia. Il populismo, infatti, è uno dei nodi fondamentali dell’attuale fase politica, non solo in Italia. Esso non rappresenta niente di nuovo – sia chiaro –: riemerge regolarmente come un mostro nei momenti faticosi della storia, cavalcando crisi politiche ed economiche, proponendo facili soluzioni a colpi di spugna e giocando sulla memoria corta dei cittadini. Riusciranno i partiti a resistere alla tentazione di caderci dentro? L’altra faccia del problema, però, sono gli elettori. Il 25 settembre troveranno motivazioni sufficienti per andare a votare, andando in controtendenza rispetto alle ultime elezioni amministrative di giugno, in cui hanno votato solo il 54% degli aventi diritto? Avranno discernimento sufficiente per esprimere un governo credibile per il nostro Paese?