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venerdì 11 ottobre 2024
 

Quando la Preghiera sembra solo un'inutile voce nel Deserto

Gent. direttore, è con un misto di rabbia, amarezza, paura e sconforto che mi rivolgo a lei. Inutile che ricordi cosa stiamo vivendo in questi giorni, siamo a malapena usciti da una guerra e già ci troviamo a soffrirne un’altra. Non voglio affrontare dibattiti su dove sta la ragione e dove il torto, desidero affidarle queste mie riflessioni. Da giorni ormai assisto a ciò che l’uomo di ragione chiama appelli e l’uomo di fede chiama preghiere. Cambia solo come le si vuole chiamare, ma ciò che li accomuna è il risultato. Il nulla. Manifestazioni, dibattiti, appelli, preghiere, suppliche, digiuni, tutto senza risposta, né dall’uomo né da Dio. Non esprimo giudizi sul lato “umano”, ma vorrei chiedere: a cosa servono dunque?

Dio non ha mai corretto ciò che l’uomo ha generato di malvagio, né ciò che la Natura ci ha costretto ad affrontare e spesso a subire. Ricordo piazza San Pietro trasformata in un enorme capezzale accanto all’agonia di Giovanni Paolo II. Ricordo papa Francesco sotto la pioggia in preghiera davanti al Cristo “miracoloso”. Sappiamo come è finita, come doveva finire, né un istante prima o dopo, né meglio o peggio. L’uomo ha ottenuto la sua libertà pagandola con il peccato, non può pretendere né sperare in una correzione lungo il percorso. La nostra fede ci insegna la Via, al momento del Battesimo scatta il “verde” al semaforo della vita, ma dopo dipende solo da noi.

Secondo me la Chiesa dovrebbe correggere la sequenza: sbaglio, mi pento, prego, sono perdonato, ricomincio da capo. Sperare in una “correzione di rotta” divina da parte di un Dio che non solo è “oltre” i nostri tentativi di stabilire una connessione, ma è anche “altro”, nel senso di altra dimensione, parallela alla nostra, che sicuramente durante la nostra esistenza non riusciamo a penetrare, dunque è speranza vana. Ammesso che possa (anche se non l’ha mai fatto nel corso dell’umanità), Dio non può interagire con l’uomo così come la natura umana spera (ancora questa parola così difficile da capire per me, speranza), così come una mamma può solo sperare (ancora) che il suo bimbo cresca sano nel suo ventre, e aspettare La preghiera mi fa paura.

Perché è una cosa che non posso reprimere, impedire che sorga, ma dalla quale non posso aspettarmi niente, posso solo ascoltare la mia voce che grida nel deserto. Forse la preghiera non va intesa come una domanda, ma come una risposta che nasce dalla nostra anima, che dovrebbe essere il punto di minor lontananza fra uomo e Dio? ANTONELLO

Caro Antonello, non voglio rispondere con argomentazioni teologiche. Parto da quello che tu confessi all’inizio, e cioè «un misto di rabbia, amarezza, paura e sconforto». E aggiungerei anche un velo di tristezza. Tutto sembra inutile di fronte al male, alla cattiveria: la preghiera, gli appelli, la speranza. Eppure non è così.

E lo testimonia tutta la storia del cristianesimo. A partire da Gesù che noi confessiamo come il Figlio di Dio incarnato. Cioè il Dio “altro”, impenetrabile, lontano che si è fatto vicino, uno di noi. E che ci ha insegnato a pregare rivolgendoci a Dio con il nome di Padre. Con immensa fiducia. Tu scrivi che non puoi reprimere il desiderio di pregare, ma precisi che questo ti fa paura perché non puoi aspettarti niente. Io però trovo questo desiderio un sentimento bellissimo, perché esprime l’animo filiale di ciascuno di noi. Che possiamo, grazie a Gesù, chiamare Dio Padre e aprirgli il nostro cuore, confidandogli dubbi, paure, angosce, chiedendogli il dono della serenità, della pace per tutto il mondo. Ma non è forse tutta un’illusione?

Non per chi ha fede, e per chi sa guardare veramente dentro se stesso. Perché scopre una nuova forza, un nuovo desiderio di bene, di amore, di impegno. La preghiera ci trasforma secondo il cuore di Dio. Il quale non interviene, di solito, con azioni eclatanti, perché rispetta la nostra libertà, ma agisce dal di dentro, per mezzo del suo Spirito, e ci dona la forza di agire per il bene Voglio concludere con un un testo che mi ha inviato la poetessa Antonietta Gnerre, come testimonianza di vicinanza a chi soffre. Il titolo è “Preghiera dei custodi della pace”.

Ecco il testo:

«Preghiamo per la tregua nella terra dei nostri fratelli ucraini. / Invochiamo quel cessate il fuoco. / L’abbandono di tutte le oscurità, / di tutte le tenebre che ali-mentano discordie e distruzione. // In questa preghiera leggiamo i libri dei poeti, / degli scrittori che hanno rap-presentato, / con le loro grandi opere, la Russia. / Anche loro stanno pregando di abbandonare i carrarmati, / le armi, gli aerei di guerra. / Di raccogliere il primo fiore della primavera che si avvicina. / Anche loro stanno invocando di seguire la strada / del dialogo e della comunica-zione. // Preghiamo per il ritiro di tutte le armi. / Cessate il fuoco! / Liberate gli uomini innocenti che avete arrestato. / Ritirate i soldati. Unitevi a questa preghiera arrivata dalle stelle. / Dall’uni-verso, dagli orizzonti, dalle altitudini, dalle maree, / dai continenti più lontani, dalla rosa dei venti. / Dalle montagne e dai numeri che sopravvivono agli anni. / Nei secoli dei secoli / del sole dei vivi e dei morti. // Noi siamo tutti figli della stessa terra, degli stessi alberi. / Custodiamo il nostro pianeta. / Aboliamo il mio e il tuo. Proclamiamo l’alba del noi. / Un noi immenso più delle galassie. / Lo dobbiamo a tutti i bambini che sono morti in questi giorni. / A tutti i civili morti. / A tutti i soldati morti. / A tutte le persone che stanno soffrendo. / Cessate il fuoco! / C’è tutto il mondo in Ucraina. / Ci siamo tutti»


31 marzo 2022

 
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