Le scrivo per portare una mia testimonianza
e per unirmi allo sconforto di quella
catechista di cui ha parlato sul numero 15/2015
di Famiglia Cristiana. Sono anch’io una catechista.
O almeno lo sono stata fino a qualche anno
fa, a partire da quando avevo quindici anni. Ora
ne ho sessanta. L’ultima classe che ho avuto era
formata da venti bambini ribelli che, a sette anni,
non sapevano fare neanche il segno della croce! E
continuo a constatare che, ancora oggi, si va avanti
così. Ogni domenica, accompagno il mio nipotino
a Messa. Ma noto che i bambini sono abbandonati
a sé stessi. La catechista canta con il coro
sull’altare, mentre i bambini chiacchierano tra
loro, si annoiano o giocano. Non seguono la liturgia.
Con loro non ci sono i genitori, ma solo qualche
nonno. E anche sul metodo di insegnare il Catechismo
sono sconfortata. Ai miei tempi c’erano
le regole a memoria (che ricordo tuttora), oggi invece
tutto si risolve in brevi dialoghi. Rispetto al
passato, i genitori non frequentano con assiduità
e i bambini sono più svogliati e distratti. Anche i
preti sono super impegnati, perché sono pochi e
oberati da tanti impegni. Ma che adulti avremo
con basi religiose così carenti?
LINA - Lecce
Non si tratta di una semplice questione di apprendimento
della dottrina cattolica. Come se fossimo
a scuola. Il problema è più radicale. Se la fede
non contamina la vita, sarà qualcosa di posticcio,
destinato a dissolversi nel tempo. E spesso per sempre.
La prima catechesi comincia in famiglia. E i genitori,
con la loro testimonianza di credenti, sono i
primi catechisti. Su questa base si può costruire una
fede adulta e matura. Altrimenti, saremo cristiani
solo di facciata e per consuetudine.