Il presidente iraniano Hassan Rohani (Reuters).
Hassan Rohani, fresco presidente dell'Iran, ha lanciato una vera campagna "simpatia". Prima gli auguri agli ebrei per il capodanno, poi le lettere a Barack Obama, infine (ieri) la lunga intervista concessa alla tv Usa Nbc, con tanto di twitter e foto del Presidente con la giornalista. Insomma, pare passato un secolo da quando il cupo Ahmadinejad minacciava a destra e a manca.
Ma le mosse che hanno contato di più, finora, sono altre. Due, in particolare: aver lavorato perché Assad accettasse di consegnare le armi chimiche del suo arsenale, e aver passato la pratica dei negoziati sul nucleare dal Consiglio supremo per la sicurezza al ministero degli Esteri. Aver cioè trasformato il problema atomico da una questione militare a una diplomatica, per di più affidata a un ministro come Mohammad Javad Zarif che ha fama di moderato.
Agli americani, via Nbc, Rohani ha promesso che "l'Iran non svilupperà mai armi nucleari, in nessuna circostanza". Bella mossa. E' la stessa cosa che sosteneva Ahmadinejad, il quale però un giorno sì e uno no minacciava di distruggere Israele. Le sue buone parole, ovviamente, risultavano un po' meno credibili di quelle di Rohani, che si è espresso pubblicamente contro il negazionismo della Shoah.
Detto questo, e detto che la diplomazia iraniana si è mossa con grande accortezza per tutta la crisi della Siria e soprattutto nelle ultime settimane, resta valida la domanda che le cancellerie occidentali si fanno da anni: possiamo fidarci dell'Iran? Possiamo credere che il loro sviluppo del nucleare abbia obiettivi solo ed esclusivamente pacifici?
Per avere una risposta positiva, Rohani ha ancora molto lavoro da fare.