Caro don Stefano,
le scrivo sulla vicenda della relazione tra il ministro della Cultura Sangiuliano e una sua presunta collaboratrice, e amante, che, dopo aver sequestrato per settimane tutta l’attenzione dei media per i particolari piccanti degni della peggior commedia all’italiana, si è conclusa con le dimissioni del ministro stesso.
Mi ha colpito di questa vicenda che il Governo ha dovuto perdere tempo ed energie a "sminare" una situazione imbarazzante quando ci sono ben altre e più urgenti questioni sul tavolo. Non si tratta tanto della vicenda in sé (abbiamo già assistito in passato a scandali del genere), quanto del clamore mediatico con cui è stata gestita. Da una parte una donna che ha continuato a esibire a rate documenti e a fare dichiarazioni e interviste, dall’altra un ministro che si è fatto intervistare dal principale Tg nazionale per cercare comprensione dal pubblico dopo la scoperta della sua relazione extraconiugale (con tanto di piagnisteo), che ha messo alla berlina la povera moglie.
Mia madre mi ha sempre detto che i panni sporchi si lavano in famiglia. O forse al ministro interessava di più mantenere la poltrona? Non pensa che si sia giunti a livelli intollerabili di impudenza e arroganza da parte del potere?
LETTERA FIRMATA
La triste vicenda a cui abbiamo assistito per molti giorni, quella della liaison amoroso-istituzionale tra il ministro Gennaro Sangiuliano e Maria Rosaria Boccia, imprenditrice e influencer di Pompei, tocca diverse sfere – personali, istituzionali, mediatiche – che, seppure collegate come parti dello stesso spartito, occorre distinguere e analizzare separatamente.
La prima riguarda quella più intima, personale e familiare. Il pensiero va in primo luogo alla moglie del ministro, ferita dal tradimento del suo uomo, evento purtroppo non raro nelle vicende umane che ci ricorda la fragilità del pellegrinare su questa terra e la nostra fragile condizione umana. Un invito a tutti a esercitare la virtù della misericordia e, quindi, ad astenerci da giudizi cinici sulle persone. È sempre e solo il peccato da condannare, mai il peccatore.
Ci addolora che la vicenda abbia superato le barriere delle mura domestiche, il luogo naturale dove deve avvenire l’elaborazione e la mediazione di questo tipo di episodi, ma il ruolo politico del ministro Sangiuliano e i particolari piccanti della vicenda, che hanno toccato la sua figura pubblica e istituzionale, hanno fatto sì che inevitabilmente lo scandalo abbia superato quelle mura e che sia stata data in pasto al pubblico. A poco è servita la passerella mano nella mano della coppia alla Mostra del cinema di Venezia per lenire questa triste constatazione.
Un secondo aspetto tocca gli aspetti politico-istituzionali. Se le questioni di “vil denaro” – le spese sostenute per i viaggi di Boccia – saranno chiarite a suo tempo dagli organi (la Corte dei Conti) che devono vigilare sulle spese pubbliche, più rilevante è il profilo politico della vicenda, conclusasi con le dimissioni, seppur tardive, dell’ormai ex ministro. Colpisce in questa vicenda la scarsa continenza e il limitato senso del decoro istituzionale di Sangiuliano, che, nell’offrire grande confidenza a una persona estranea e ammettendola a importanti incontri attinenti alla sua funzione istituzionale, si è reso potenzialmente ricattabile in termini e modi ancora imprevedibili al momento in cui scriviamo. Come non capire che la sua relazione affettiva con Boccia entrava in corto circuito con l’incarico di consulenza che stava per conferirle (bloccato poi all’ultimo momento)? Come non registrare un sentimento di inquietudine per il fatto che un’estranea abbia potuto partecipare a sopralluoghi e assistere a colloqui con persone pubbliche, venendo a conoscenza di questioni riservate?
Quali altre novità salteranno fuori dal cilindro? Quale livello di sicurezza hanno, poi, gli incontri di persone al massimo livello istituzionale? Come non sorprendersi, più in generale, che nel Consiglio dei ministri siedano ancora persone inquisite o che generano imbarazzo per le loro continue gaffes e che rischiano di inficiare l’azione del Governo alle soglie dell’autunno caldo che ci aspetta (a partire dalla Legge di bilancio)? E poi le dimissioni: tardive e quando ormai erano inevitabili per l’intervista che Boccia avrebbe dato la sera stessa alla Tv, con possibili “bombe” pronte a scoppiare. In tutti i Paesi democratici ogni fatto che mina anche solo minimamente la moralità di una figura pubblica costringono l’interessato alle immediate dimissioni. Tutti ricorderanno, ad esempio, quelle del ministro della Difesa tedesco, Karl Theodor zu Guttenberg, nel 2011 perché aveva copiato parti della sua tesi di dottorato.
Infine c’è l’aspetto mediatico, tanto più sorprendente per la piega che ha preso in quanto Sangiuliano è un giornalista che dovrebbe conoscere le regole e le dinamiche dell’informazione al tempo dei social. In primo luogo è criticabile l’uso strumentale e politico della televisione di Stato, che ha permesso che mercoledì 4 settembre alle 20:30 (nel momento di massimo share) il Tg 1, la “corazzata” dei Tg nazionali, trasmettesse l’intervista integrale al ministro da parte del direttore Gian Marco Chiocchi della durata di 16 minuti. Uno spazio di tempo enorme, concesso solo al presidente della Repubblica nel suo discorso di fine anno. Interviste a cariche pubbliche nei telegiornali prendono al massimo 2-3 minuti. Spiace constatare che la Tv pubblica – fatta con soldi pubblici! – si sia prestata ad accogliere in diretta le giustificazioni di un ministro che in quel momento rischiava il posto, assumendo su di sé il ruolo improprio di “media di Governo”, prono a questo, a detrimento della qualità e deontologia dell’informazione, con palese tradimento del suo ruolo istituzionale, che dovrebbe essere quello di “cane da guardia” del potere. Piegare il suo Tg principale alle ragioni dell’editore (il Governo) va a detrimento della sua credibilità. Ha torto, alla luce di questo, chi chiama la Rai “Telemeloni”? Che, poi, la gente sia stufa di questo modo di fare politica lo mostra, come ha fatto notare il nostro editorialista Massimo Scaglioni, il fatto che al momento delle dichiarazioni del ministro il Tg 1 abbia perso mezzo milione di spettatori (da 4 milioni a 3 milioni e mezzo), per poi risalire subito con il programma successivo.
C’è, poi, il ruolo dei social. Boccia, in polemica con l’ex amante e mentre questi parlava al Tg 1, ha postato in diretta sul suo profilo Instagram una serie di repliche alle sue affermazioni, ribattendo colpo su colpo, postando documenti e mostrando soprattutto grande competenza nell’uso dei social, mitigando così “l’effetto Tg 1”. E ancora meglio ha fatto nelle interviste televisive che ha sostenuto successivamente.
Al tempo dei social, dunque, il team di comunicazione del ministro, che ha messo in campo una portaerei contro la piccola motovedetta di una privata cittadina, ha perso la sua battaglia. E questo perché, come ha rilevato Scaglioni, «va tenuto sempre conto che in un contesto con mezzi diversi – verticali, come la Tv, e orizzontali, come i social – il principio della verità è fondamentale: il rischio di essere smentiti un secondo dopo aver fatto l’intervista è dietro l’angolo». Le bugie hanno sempre le gambe corte. Speriamo, a “babbo morto” (cioè a dimissioni avvenute) di non doverne scoprire ancora delle belle.