Un angelo del Signore apparve in
sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati,
prendi con te il bambino e sua
madre, fuggi in Egitto e resta là
finché non ti avvertirò».
Matteo 2,13-15.19-23
SAN GIUSEPPE: ECCO COME DOBBIAMO CUSTODIRE GESÙ
Il Vangelo di oggi affida a Giuseppe, patrono
della Chiesa universale, il compito
di indicarci come si custodisce Gesù.
Nella vita “feriale” della famiglia
di Nazaret, noi impariamo a
ospitare il Signore.
Nella ferialità il Vangelo,
lo sappiamo bene, esige obbedienza: Gesù
sta al centro, tra Maria e Giuseppe; è avvolto
di attenzione e cura perché egli è la parola
di Dio che, al momento opportuno, si
manifesterà rispondendo a ogni più profondo
bisogno umano.
Dio stesso ha cura
di suo Figlio insieme a Maria e Giuseppe e
a costui ordina: «Àlzati, prendi con te il
bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta
là finché non ti avvertirò: Erode infatti
vuole cercare il bambino per ucciderlo».
La parola di Dio ha i suoi martiri e nella
volontà di Dio, che questa Parola rivela,
il primo martire è Gesù, «umiliato nella
condizione di servo» (Fil 2,7). Maria e Giuseppe
sono i primi testimoni di questa
umiliazione, così come i “martiri innocenti”
subiscono la furia del potere umano
piegato dall’umiltà di Dio.
Come Giuseppe la Chiesa, nella notte
di ogni tempo, è chiamata ad alzarsi, a stare
in atteggiamento di obbedienza, pronta
a partire per andare là dove la Parola deve
farsi carico della salvezza dell’uomo.
Dove la prepotenza umana vuole divorare
tutto e tutti, la parola di Dio accetta di avere
i suoi martiri, ma in “Egitto”, dove in
ogni tempo è presente il rischio di essere
ricondotti schiavi del potere, della ricchezza,
della mondanità, essa vive e ammonisce,
chiama e riconduce a libertà l’uomo
che la accoglie.
Maria e Giuseppe, liberi
per eccellenza e obbedienti sino in fondo,
ci rappresentano la Chiesa quotidianamente
in viaggio: «Àlzati, prendi con te il
bambino e sua madre e va’ nella terra
d’Israele». Ecco come questo Bambino va
amato e circondato di attenzione, ecco
quanto è prezioso agli occhi di tutta l’umanità
per la libertà di ognuno: a lui la Chiesa
si affida e molti, in essa, sanno soffrire
e morire. Non è solo storia di un passato
che non torna più. È realtà d’oggi.
DUE IMPERATIVI.
Mi soffermo sui due imperativi
cui Giuseppe obbedisce insegnando
alla Chiesa i primi passi al seguito del Signore:
«Alzati e va’». Ripercorro le Scritture
e ricordo Giona, immagine di una Chiesa
che nei suoi membri e lungo i secoli ha
preso a volte le strade sbagliate della disobbedienza,
o malvolentieri si è messa in
cammino perché si sentiva più giudice della
storia che non strumento della misericordia
infinita di Dio. Così, come Giona, si
va «lontano dal Signore».
Ricordo anche Elia cui l’angelo del Signore
disse: «Àlzati, mangia!». Egli guardò e
vide vicino alla sua testa una focaccia, cotta
su pietre roventi, e un orcio d’acqua. Mangiò
e bevve… E con la forza di quel cibo camminò
per quaranta giorni e quaranta notti
fino al monte di Dio, l’Oreb (1Re 1,5ss).
Elia
è un’immagine della Chiesa che non in sé
stessa, ma nel dono di Dio,
nell’Eucaristia, trova la forza per il proprio lungo camminare
dietro a Gesù. È la santa famiglia
dei figli di Dio che, con Maria e Giuseppe,
custodiscono il Signore che amano e sono
da lui guidati alla casa del Padre di tutti.