Caro Direttore, chi le scrive è un professore di Liceo in pensione e vecchio lettore di Famiglia Cristiana. Desidero sollevare il problema di tanti giovani insegnanti precari che vivono di supplenza saltuaria. Sono giovani che lavorano bene, mio figlio quarantenne è fra questi. Solo che a un certo punto, come in questi giorni, arriva il concorso, un concorso balordo fatto di domande balorde che non possono provare niente sulla bravura dei partecipanti circa la propria disciplina. Mi chiedo, se questo è un modo corretto e soprattutto intelligente di valutare la bravura e la preparazione di vari candidati aspiranti all’insegnamento, che intanto, pur nella precarietà, si danno da fare nella supplenza che gli è “capitata”. Per insegnare servono solo due cose: la conoscenza della propria disciplina e l’amore per essa, il resto è solo burocrazia e dispersione di energie.
Al Governo chiedo: cosa fare in concreto, non a parole, per incoraggiare tanti bravi giovani, alcuni anche con una certa età, con tanta voglia e necessità di lavorare, nel caso specifico nell’insegnamento? GIOVANNI
Caro Giovanni, sicuramente questi concorsi non sono perfetti. Il metodo tradizionale della prova scritta con l’aggiunta del colloquio orale è stato da tempo abbandonato per tante prove pubbliche d’esame, perché richiedeva tempi troppo lunghi di correzione e si è, quindi, optato per prove al computer, che consentono di avere gli esiti molto rapidamente.
Forse si nascondono anche questioni di risparmio, perché impegnare commissari per tempi lunghi costa molto. Riguardo alle domande “balorde” di cui parli, che non proverebbero la vera conoscenza della disciplina, mi risulta che la maggior parte delle critiche riguardano di solito, invece, l’eccessivo nozionismo. A ogni buon conto i concorsi vanno fatti sia per ridurre la piaga del precariato, sia perché l’Europa ce l’ha imposto. Si è cercata, così, una formula che permettesse di effettuarli in tempi ragionevolmente rapidi. Capisco, quindi la delusione di tuo figlio, supplente precario, che, bocciato al concorso, il giorno dopo deve trovare la motivazione per tornare in classe, ma in Italia si diventa dipendenti pubblici tramite concorso.
Succede a tanti docenti bravi, che non si perdono d’animo e ritentano. Il fatto che i concorsi vengano banditi con una certa regolarità è un motivo per non disperare: tuo figlio potrà sostenere altre prove e nel frattempo, se è iscritto nelle graduatorie provinciali per le supplenze, continuerà a lavorare. Un’ultima cosa: la conoscenza della propria disciplina e la corretta coscienza sono necessarie, ma non più sufficienti per fare oggi un buon insegnante. Sono indispensabili anche quegli altri aspetti richiesti pure al concorso: la conoscenza dell’inglese, dell’informatica e della legislazione scolastica, nonché sufficienti competenze per insegnare in classi dove gli alunni con bisogni educativi speciali sono sempre più numerosi. Per affrontare tutte queste situazioni non bastano più la buona volontà e la conoscenza della disciplina che, forse, erano sufficienti non moltissimi anni fa.