Ha un sapore agro la notizia che 2.700 navigator rischiano il posto di lavoro. Ve li ricordate i navigator? Sono gli angeli custodi - assunti dopo una severa selezione pubblica - dei percettori del reddito di cittadinanza, i “facilitatori” dell’occupazione per eccellenza. Il loro compito è quello di aiutarli a trovare lavoro, supportando soprattutto tecnicamente e digitalmente il personale dei Centri per l’impiego. Il loro contratto di collaborazione scade il prossimo aprile e nella legge di Bilancio del 2021, ancora in bozze, non è previsto il loro rifinanziamento. Mancano le risorse, dirottate sulle misure anti Covid. Qualcosa è previsto per l’ANPAL (acronimo Agenzia Nazionale delle Politiche Attive per il Lavoro), l’ente che li gestisce, ma pare che sia destinato ad altri scopi e soprattutto quel qualcosa non è sufficiente a coprire lo stipendio di tutti (al netto delle tasse, circa 1500 euro al mese) ma solo di 500 navigator. Il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo promette che una soluzione si troverà (si spera nel Recovery Fund, la grande madre di tutti i finanziamenti statali), ma il paradosso tutto italiano resta: il facilitatore del lavoro che rimane disoccupato.
Il Reddito di cittadinanza, nelle promesse dei suoi sostenitori, avrebbe dovuto servire a favorire l’occupazione e a stabilizzare i contratti di impiego, proprio attraverso i navigator, e invece i primi a rischiare di perdere il posto sono loro. E questo ci porta a fare qualche considerazione.
La tanto sbandierata riforma dei Centri per l’impiego, quelli che con il reddito di cittadinanza avrebbero dovuto portare lavoro, lavoro, lavoro e abolire la povertà, non sono mai decollati. Lo dicono i numeri. Su due milioni di beneficiari, quasi un milione, per la precisione 908 mila, sono stati ritenuti in grado di stipulare un contratto di lavoro attraverso l’esame dei pre-requisiti e dunque sottoposti alla procedura che vuole - dopo un paio di rifiuti - l’obbligo di accettare l’impiego proposto, pena la perdita del sussidio.
Il problema è che i posti di lavoro non li creano i Centri per l’impiego, che al massimo fanno da raccordo tra offerta e domanda, ma “gli opifici”, come si diceva una volta con linguaggio giuridico, ovvero le imprese. Non serve cercare lavoro se questo non c’è. E infatti, su 908 mila potenziali lavoratori, hanno stipulato un contratto (il più delle volte a tempo determinato, dunque precario) 39.760 percettori del reddito di cittadinanza (i dati sono riferiti all’inizio del 2020 ma vista la situazione in cui siamo poi precipitati non dovrebbero discostarsi di molto, anzi probabilmente possono solo peggiorare, visto che milioni di italiani sono in cassa di integrazione).
Significa che su due milioni di percettori di Rdc ha trovato lavoro solo il 2 per cento, o se vogliamo essere più precisi, il 4 per cento di chi lo poteva trovare possedendone i requisiti. A fronte di questo grandissimo successo lo Stato ha speso per il 2020 5,8 miliardi di euro e ha già messo a bilancio per il 2020 sette miliardi di euro. Forse il sistema andrebbe ricalibrato, ci vorrebbe come minimo un “tagliando”. O no?