di TOMMASO GIUNTELLA, presidente del Centro studi Democrazie digitali
«La menzogna non è mai tanto falsa come quando si avvicina alla verità» scriveva profeticamente Chesterton nel suo San Tommaso d’Aquino (1933). Oggi, 90 anni dopo quelle parole, la galassia dell’informazione digitale, prima finestra sulla verità per le nuove generazioni, è attraversata da menzogne sempre più false e sempre più credibili. Menzogne figlie di azioni individuali ma anche di operazioni di guerriglia organizzata, volta a minare la stabilità dei governi, dare supporto a dittature e regimi, innescare e promuovere conflitti.
Il fatto è che la verità non è importante nella piazza digitale, luogo di perfezionamento del sodalizio tra consumismo e narcisismo. Viviamo in un’economia dell’attenzione in cui il valore di un testo, di una foto o di un video, si misura in meri termini quantitativi. Quanti click generi? Quante visualizzazioni? Quanto tempo di permanenza sulla pagina? Quanti ascolti? La verità non genera profitto, l’attenzione sì. Valeva già per gli ascolti tv, certo, ma mentre i contenuti dei canali tv sono frutto di una più o meno efficace mediazione tra redattori, autori e dirigenti, quando il canale siamo noi stessi non c’è più alcun limite. Conta solo la capacità di catturare follower con la propria firma o con il proprio volto.
E così anche i vecchi media cadono vittime della sindrome degli influencer. Ecco che nello stesso momento in cui descriviamo questo buio scorgiamo anche la luce che può guidare chi vuole essere una mosca bianca. Il coraggio della verità non è solo quello di chi attraverso grandi inchieste svela e denuncia il crimine, il malaffare, l’ingiustizia. Fortunatamente ci sono tanti giornalisti impegnati su questo fronte, così come quello della fondamentale opera di contrasto alle fake news con la pubblicazione dei fact cheking da parte di siti specializzati. Che Dio preservi i santi e gli eroi dell’informazione libera. Ma il fronte della verità è fatto anche di battaglie meno evidenti e per certi versi più scomode, in cui occorre operare la rinuncia più difficile, la rinuncia a sé stessi. Si può parlare meglio di cose serie come pace, verità, democrazia se ci si prende meno sul serio.
Se l’algoritmo si nutre di pregiudizi, il cercatore di pace deve essere il primo a spogliarsene, nella scelta delle parole così come nella testimonianza. Si comunicano verità, pace e democrazia nella propria presenza nella piazza digitale, con la continenza delle parole e la verifica quotidiana delle fonti, il confronto tra più articoli, la rinuncia preventiva a partecipare all’indignazione del giorno solo per aggiungere la propria firma.
Quanto è difficile sfuggire alla ripartizione tra tifoserie nell’ambiente digitale! La testimonianza di metodo deve essere continuamente trasmessa non solo nel proprio stile ma anche in forma pratica nelle scuole, nei gruppi giovanili e in tutti i luoghi fisici, con giochi, esperimenti e dimostrazioni. La verità, la pace e la democrazia, in fin dei conti, sono innanzitutto un esercizio di autodisciplina quotidiana.
- Articolo tratto da PAGINE APERTE, speciale Settimana della Comunicazione
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