Un dettaglio della Sacra Sindone, esposta in questi giorni a Torino.
«Senza parole raga, è il selfie di Dio» una frase inconsueta, ai confini con l’irriverenza, uscita dalle labbra di un adolescente dopo il passaggio al cospetto della Sindone. L’indole spavalda delle sedici primavere e la tendenza costante all’ironia nulla hanno sottratto al religioso silenzio, oserei dire contemplazione, provocato dal contatto con il sacro lino.
Una battuta che provoca, oltre l’immediato, a dischiudere lo sguardo su almeno un paio di dimensioni della generazione digitale che si legano all’immagine del tessuto esposto a Torino.
La conservazione della memoria: uno dei problemi che tecnici e filosofi della tecnologia si pongono da tempo, consapevoli che ogni supporto digitale porta con sé un’intrinseca fragilità. Si può rischiare di cancellare anni di lavoro e memorie familiari con un clic, ma anche di consegnare ai posteri dati non più decrittabili.
Chi ha analizzato la Sindone ha scoperto una serie di codici indelebilmente legati l’uno all’altro e sovrapposti, che si rivelano man mano che la tecnologia ce ne fornisce gli strumenti di lettura: dal negativo fotografico alla tridimensionalità dell’immagine inscritta nelle fibre di lino.
Un supporto di memoria che, almeno da 700 anni certi, porta con sé un codice analogico decrittabile anche dalle generazioni digitali che seguiranno. Un curioso superamento delle codifiche sospeso tra mnemosine a anamnesis, tra memoria e ciò che dal ricordo viene richiamato nell’intelletto.
La seconda dimensione che prendiamo in considerazione è la disintermediazione digitale, di cui il selfie è un primo immediato prodotto a dimensione tascabile. Si tratta di una chiave di lettura che percorre anche il dodicesimo rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione e rivela come i processi di mediazione si stiano progressivamente sgretolando di fronte ai cortocircuiti creatisi nell’incontro tra domanda e offerta.
Così anche l’accesso al sacro, per molti individui, chiede veicoli sempre più diretti salvo restando il fatto che nel Cristianesimo la mediazione non rappresenta un ostacolo ma un veicolo di salvezza. Per la struttura acerba dei sedici anni è auspicabile che “il selfie di Dio” abbia provocato un contatto diretto almeno con una domanda di senso. E proprio “contatto” oltre che “relazione” sembra essere un termine chiave che consente di rileggere l’esperienza personale di chi è cresciuto a pane e bit.