Quando verrà un giorno di Festa per le Mamme di Aleppo
e della Siria? Anche qui, come in tutti i luoghi devastati
dalla guerra, sono le donne il pilastro della
resistenza. Sono loro a portare il peso maggiore, a
battersi perché qualcosa resista alla violenza e alla
disperazione. Loro a innaffiare ogni giorno di fatica
il piccolo seme della speranza. Fra Ibrahim
al-Sabbagh, parroco della comunità latina di
Aleppo, le conosce bene e incontra ogni giorno la prova della
loro abnegazione. «Una mattina sono venuti alla parrocchia
di San Francesco due genitori che hanno cinque figli
universitari. Entrambi sono senza lavoro. La mamma mi
confessa di avere una malattia agli occhi che richiederebbe
un intervento chirurgico, la vista le sta progressivamente
calando. Però aggiunge: “I nostri pochi risparmi
sono per i figli, perché possano continuare a studiare.
Tutto il loro futuro è lì, negli studi. Preferisco diventare
cieca che cancellare il futuro dei miei figli”».
Quando Famiglia Cristiana e la Fondazione
Giovanni Paolo II hanno lanciato
la campagna di raccolta fondi per le
famiglie cristiane di Aleppo, abbiamo
pensato a madri come questa, le vere
eroine del nostro tempo e di questo
Medio Oriente travagliato. O come
Safà, 36 anni, madre di quattro figli,
la più grande in prima media, il
più piccolo di due anni e mezzo. Safà
e il marito Eliah stavano tornando a
casa da una visita ai suoceri. Mentre
Eliah parcheggiava l’auto sotto casa,
sul quartiere cominciarono a cadere
dei colpi di mortaio.
«Mamma, ho paura», dice il piccolo
Piter, seduto davanti tra i genitori. Safà
si china per consolarlo, e questo gesto
materno le salva la vita. Un missile
cade accanto all’auto, le schegge attraversano l’abitacolo. «Eliah», racconta
Safà, «era ancora seduto al volante,
composto. Ma era morto, una scheggia
l’aveva ucciso sul colpo. Piter invece
era ferito, sanguinava dal petto ma era
ancora vivo».
Safà è illesa, quasi un miracolo. Gli
abitanti del quartiere, dove il missile
ha ucciso anche un passante, chiamano
un’autoambulanza, che porta madre
e figlio verso l’ospedale. Per ore i
chirurghi tentano di salvare Piter,
che non sopravvive. Safà è sempre
accanto a lui, lotta con lui. E non sa
che anche le tre figlie sono state uccise:
ha visto arrivare i soccorsi, lei teneva in
braccio il bambino, credeva che le ragazze
fossero in cura in un altro ospedale.
Il momento della verità è atroce e
per lungo tempo i famigliari e gli amici
le stanno intorno senza sosta, convinti
che la giovane mamma perderà il senno
o si toglierà la vita.
«Per tanto tempo», dice ora Safà,
«ho sognato il mio bambino che diceva:
“Mamma, ho paura”. Sembrava vivo, nel
sogno, era proprio come quella sera. Io
avrei dovuto curarlo, proteggerlo, e invece
lui, con quelle tre parole, ha salvato
me. Ho una sola consolazione, adesso:
lassù stanno meglio di qua, e c’è il
loro papà a tenerli per mano e ad accompagnarli
in Paradiso».
Sono storie terribili eppure così
comuni, nella Siria dei cinque anni di
guerra civile. Come il dramma di Aziza,
madre di un alto ufficiale dell’esercito
siriano. Un giorno, mentre era
libero dal servizio, il figlio è partito
per andare a trovare la famiglia che
vive a Latakia. Lungo la strada è
stato rapito da una delle bande di
ribelli islamisti di Al Nusra. È successo
quattro anni fa e da allora di lui non si
sa più nulla. Circola su Internet un video
in cui lui, prostrato dalle percosse,
dichiara di aver abbandonato volontariamente
l’esercito, e null’altro. Aziza,
la madre, lo aspetta. Ogni giorno siede
alla finestra e fissa la strada da cui il figlio dovrebbe arrivare. «So che tornerà
», dice, «e verrà a prendere il
caffè da me come faceva ogni giorno
quando tutto andava bene».
La campagna di Famiglia Cristiana
e della Fondazione Giovanni Paolo II
non può far finire la guerra, non può far
scoppiare la pace. Può però, con il sostegno
decisivo dei lettori, aiutare tante
persone a sopravvivere, a salvare il corpo
e lo spirito. Centinaia e centinaia di
famiglie di Aleppo, con i fondi raccolti
nel periodo di Natale e grazie all’abnegazione
dei frati francescani della Custodia
di Terra Santa, sono già state soccorse
con generi alimentari e di prima
necessità, con interventi per garantire
loro l’acqua, per aiutare i ragazzi nello
studio. Ma molto resta ancora da fare
mentre la guerra, che sembrava riconoscere
la sosta imposta dalla tregua,
sembra voler riprendere in tutta
la sua furia. Padre Ibrahim, il parroco
di Aleppo, ha raccontato di quando
un’anziana signora, sola e malata, arrivata
in parrocchia per chiedere un
aiuto, gli mostrò una pistola e gli disse:
«Mi servirà per morire in modo degno,
quando non ce la farò più».
Ecco. Se tutti insieme, con un piccolo
dono, riuscissimo a rendere inutile
quella pistola, avremmo tutti insieme
già fatto qualcosa di grande.