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sabato 26 aprile 2025
 

Siria - Solidarietà. Ad Aleppo le mamme lavorano per la pace

Quando verrà un giorno di Festa per le Mamme di Aleppo e della Siria? Anche qui, come in tutti i luoghi devastati dalla guerra, sono le donne il pilastro della resistenza. Sono loro a portare il peso maggiore, a battersi perché qualcosa resista alla violenza e alla disperazione. Loro a innaf†fiare ogni giorno di fatica il piccolo seme della speranza. Fra Ibrahim al-Sabbagh, parroco della comunità latina di Aleppo, le conosce bene e incontra ogni giorno la prova della loro abnegazione. «Una mattina sono venuti alla parrocchia di San Francesco due genitori che hanno cinque fi†gli universitari. Entrambi sono senza lavoro. La mamma mi confessa di avere una malattia agli occhi che richiederebbe un intervento chirurgico, la vista le sta progressivamente calando. Però aggiunge: “I nostri pochi risparmi sono per i †figli, perché possano continuare a studiare. Tutto il loro futuro è lì, negli studi. Preferisco diventare cieca che cancellare il futuro dei miei †figli”».
Quando Famiglia Cristiana e la Fondazione Giovanni Paolo II hanno lanciato la campagna di raccolta fondi per le famiglie cristiane di Aleppo, abbiamo pensato a madri come questa, le vere eroine del nostro tempo e di questo Medio Oriente travagliato. O come Safà, 36 anni, madre di quattro figli, la più grande in prima media, il più piccolo di due anni e mezzo. Safà e il marito Eliah stavano tornando a casa da una visita ai suoceri. Mentre Eliah parcheggiava l’auto sotto casa, sul quartiere cominciarono a cadere dei colpi di mortaio.
«Mamma, ho paura», dice il piccolo Piter, seduto davanti tra i genitori. Safà si china per consolarlo, e questo gesto materno le salva la vita. Un missile cade accanto all’auto, le schegge attraversano l’abitacolo. «Eliah», racconta Safà, «era ancora seduto al volante, composto. Ma era morto, una scheggia l’aveva ucciso sul colpo. Piter invece era ferito, sanguinava dal petto ma era ancora vivo».
Safà è illesa, quasi un miracolo. Gli abitanti del quartiere, dove il missile ha ucciso anche un passante, chiamano un’autoambulanza, che porta madre e †figlio verso l’ospedale. Per ore i chirurghi tentano di salvare Piter, che non sopravvive. Safà è sempre accanto a lui, lotta con lui. E non sa che anche le tre †figlie sono state uccise: ha visto arrivare i soccorsi, lei teneva in braccio il bambino, credeva che le ragazze fossero in cura in un altro ospedale. Il momento della verità è atroce e per lungo tempo i famigliari e gli amici le stanno intorno senza sosta, convinti che la giovane mamma perderà il senno o si toglierà la vita.
«Per tanto tempo», dice ora Safà, «ho sognato il mio bambino che diceva: “Mamma, ho paura”. Sembrava vivo, nel sogno, era proprio come quella sera. Io avrei dovuto curarlo, proteggerlo, e invece lui, con quelle tre parole, ha salvato me. Ho una sola consolazione, adesso: lassù stanno meglio di qua, e c’è il loro papà a tenerli per mano e ad accompagnarli in Paradiso».
Sono storie terribili eppure così comuni, nella Siria dei cinque anni di guerra civile. Come il dramma di Aziza, madre di un alto uffi†ciale dell’esercito siriano. Un giorno, mentre era libero dal servizio, il †figlio è partito per andare a trovare la famiglia che vive a Latakia. Lungo la strada è stato rapito da una delle bande di ribelli islamisti di Al Nusra. È successo quattro anni fa e da allora di lui non si sa più nulla. Circola su Internet un video in cui lui, prostrato dalle percosse, dichiara di aver abbandonato volontariamente l’esercito, e null’altro. Aziza, la madre, lo aspetta. Ogni giorno siede alla †finestra e †fissa la strada da cui il fi†glio dovrebbe arrivare. «So che tornerà », dice, «e verrà a prendere il caffè da me come faceva ogni giorno quando tutto andava bene».
La campagna di Famiglia Cristiana e della Fondazione Giovanni Paolo II non può far †finire la guerra, non può far scoppiare la pace. Può però, con il sostegno decisivo dei lettori, aiutare tante persone a sopravvivere, a salvare il corpo e lo spirito. Centinaia e centinaia di famiglie di Aleppo, con i fondi raccolti nel periodo di Natale e grazie all’abnegazione dei frati francescani della Custodia di Terra Santa, sono già state soccorse con generi alimentari e di prima necessità, con interventi per garantire loro l’acqua, per aiutare i ragazzi nello studio. Ma molto resta ancora da fare mentre la guerra, che sembrava riconoscere la sosta imposta dalla tregua, sembra voler riprendere in tutta la sua furia. Padre Ibrahim, il parroco di Aleppo, ha raccontato di quando un’anziana signora, sola e malata, arrivata in parrocchia per chiedere un aiuto, gli mostrò una pistola e gli disse: «Mi servirà per morire in modo degno, quando non ce la farò più».
Ecco. Se tutti insieme, con un piccolo dono, riuscissimo a rendere inutile quella pistola, avremmo tutti insieme già fatto qualcosa di grande.


08 maggio 2016

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