Fra Ibrahim al-Sabbagh, 45
anni, francescano, parroco
della chiesa di San Francesco
ad Aleppo, padre guardiano
del convento, vicario
episcopale, ha vissuto i tre
anni terribili della città
assediata stando in ogni
modo vicino alla comunità cristiana.
Lo ha fatto anche da umile cronista,
tenendo i contatti con il resto del
mondo, per raccontare le mille sofferenze
di questa parte di Siria. Nessuno
come lui conosce i patimenti e le
speranze della sua gente.
«Grazie alla tregua», dice padre
Ibrahim, «le condizioni di vita sono un
poco migliorate. L’acqua arriva con più
continuità, anche se non in tutta la città.
Così pure per l’energia elettrica. Ma
l’emergenza resta ed è sempre drammatica.
Noi francescani siamo in cinque
e teniamo la porta sempre aperta,
giorno e notte, perché a ogni ora arriva
qualcuno che ha bisogno di aiuto. Proseguiamo
la distribuzione dei pacchi
con generi alimentari e di prima necessità,
acquistati grazie alla raccolta
fondi lanciata da Famiglia Cristiana
e Fondazione Giovanni Paolo II, che
sono un sostegno fondamentale per
la vita di centinaia di famiglie. Assistiamo
gli anziani, spesso rimasti soli
e bloccati nei quartieri a rischio. Ispezioniamo
le case danneggiate e avviamo
i lavori di restauro. E poi ci sono
le emergenze meno visibili ma non
meno urgenti. Per esempio, sostenere
decine di famiglie che in questi anni
di guerra e disoccupazione non hanno
potuto pagare l’affitto e rischiano di
essere cacciate di casa. A loro provvediamo
con assistenza legale e sostegno finanziario. Insomma, i fronti sono
davvero tantissimi».
Dove la tregua ancora non si fa
sentire?
«Nell’animo della gente. I bombardamenti
ormai sono sporadici, ma i
missili ancora cadono su alcuni quartieri,
perché non tutti i gruppi dell’opposizione
hanno siglato il cessate il
fuoco. Quindi restare in strada è tuttora
pericoloso. Le storie drammatiche
sono ancora numerose, ad Aleppo, anche
tra i cristiani».
Ce ne racconta una?
«Poco prima di Pasqua ho visitato
in ospedale una mamma che, a
causa di un razzo che ha colpito la
sua casa, ha avuto gravi ferite al volto
e ha perso un occhio. Avrà bisogno di
molte cure e di diversi interventi chirurgici.
Suo marito, invece, è rimasto
traumatizzato ed è ricoverato in una
clinica dove cercano di fargli superare
lo shock. Il peggio, però, è che madre
e padre ancora non sanno che nell’esplosione
è morto il loro unico figlio,
che aveva 15 anni. Con vicende come
questa ad Aleppo abbiamo dovuto fare
i conti per tre anni, giorno dopo giorno.
E non è ancora finita. Per questo
dicevo che la tregua ancora non ha effetti
sull’animo delle persone. Chissà
quando un così lungo periodo di sofferenza
potrà essere davvero superato.
Noi abbiamo incitato sempre tutti a
non perdere la speranza, a non lasciarsi
vincere dall’amarezza. La gente di
Aleppo è stata coraggiosa e non ha
perso la fede, ma le cicatrici sono veramente
profonde».
Cicatrici e forse anche rancori.
Come sono, ora, i rapporti con i musulmani?
«Ci sono segnali incoraggianti.
Noi cerchiamo di aiutare tutti, ma non
sono mancati i gesti di carità anche da
parte dei musulmani: famiglie musulmane
hanno ospitato famiglie cristiane
che avevano perso la casa, o le
hanno aiutate in situazioni di difficoltà.
Purtroppo ci sono stati anche casi
di musulmani che i cristiani consideravano
buoni vicini o addirittura amici
e che all’improvviso si sono rivelati
intolleranti, fondamentalisti. Però la
guerra ha cambiato un po’ tutti. Lo abbiamo
constatato quando noi responsabili
della Chiesa di Aleppo abbiamo
incontrato le autorità islamiche della
città. C’è più sincerità, direi anche coraggio,
nei rapporti reciproci. Speriamo
che questo germe possa dare frutti
in futuro».
Lei ha aperto un Centro sociale in
parrocchia per distribuire gli aiuti. E
per le altre attività?
«Siamo contenti di poter dire che,
nonostante la guerra, la parrocchia
non ha mai interrotto il proprio servizio
alla comunità. Anche se una bomba
ha colpito la chiesa il giorno delle prime
comunioni, anche se i razzi hanno
tormentato il nostro quartiere. Ci siamo
adattati, certamente non arresi.
Sono proseguiti i corsi di catechismo
per 200 bambini, i corsi prematrimoniali
per i fidanzati, le Sante Messe sia
nella parrocchia sia nelle due succursali.
Abbiamo aperto la Porta Santa. A
Pasqua abbiamo organizzato una piccola
festa. Anche noi cristiani di Aleppo,
in un certo senso, abbiamo camminato
sulle acque. Grazie alla forza della
nostra fede».