Non lasciamole sole - Dalla disponibilità di
Famiglia Cristiana
lo scorso Natale è nata la campagna “Cristiani in Siria”,
che ha ricevuto un’accoglienza straordinaria da parte
dei lettori. A tutti coloro che hanno scelto di sostenere
le famiglie di Aleppo va il mio personale e affettuoso
grazie, per aver voluto essere vicini affettivamente
ed effettivamente in modo particolare ai nostri fratelli
cristiani, che ogni giorno sperimentano il dramma
dell’isolamento e della assenza di cibo, acqua, condizioni
igieniche dignitose. Grazie ai lettori abbiamo potuto
prenderci cura nei primi mesi dell’anno di tutte
le 837 famiglie individuate arrivando ad assisterne
materialmente 900. Le risorse al momento disponibili
consentiranno di continuare ad aiutare per tutto
il resto dell’Anno Santo la metà di queste famiglie,
mentre a partire da aprile non ci sarà la possibilità di
prestare assistenza alle restanti 450 famiglie. Per questo
in occasione della Pasqua di Risurrezione dobbiamo
sentirci più che mai un’unica famiglia: desidero fare
nuovamente appello ai lettori per sostenere tutte
le famiglie ancora in pericolo e garantire la loro
sopravvivenza. Insieme con Famiglia Cristiana saremo
al loro fianco fino a quando sarà necessario.
Monsignor Luciano Giovannetti, vescovo di Fiesole,
presidente della Fondazione Giovanni Paolo II
La guerra, la fame, i figli: tra le madri coraggio di Aleppo
A Natale lanciammo con
la Fondazione Giovanni
Paolo II la campagna
per aiutare i cristiani di
Aleppo, città-simbolo del
martirio della Siria in cinque
anni di guerra civile.
Sapevamo che i lettori di
Famiglia Cristiana avrebbero mostrato
tutta la loro sensibilità. Due cose, però,
non potevamo proprio immaginarle.
Che la vostra generosità sarebbe stata
così grande. E che per Pasqua saremmo
tornati a rivolgerci a voi, con la seconda
fase della stessa campagna che parte
proprio in questo numero e durerà fino alla Festa della mamma.
Dobbiamo ancora chiedervi una
mano perché la guerra non finisce
mai, i bisogni sono infiniti e se la tregua
reggesse, come tutti speriamo,
cambierebbero solo d’aspetto. E
perché il numero delle famiglie che rischiano
l’annientamento aumenta di
giorno in giorno. Troverete più avanti,
nella testimonianza di fra Toufic Bou
Mehri, francescano della Custodia di
Terra Santa, un primo resoconto di
come vengono investiti i fondi raccolti
nel periodo natalizio. Vogliamo invece
spiegare questo termine che ci siamo
dati, la Festa della mamma.
Perché vogliamo onorare le famiglie
di Aleppo e in particolare le
donne, le madri, che sono la spina
dorsale della resistenza umana della
città e della comunità cristiana. La
società siriana, come tutte quelle del
Medio Oriente, è patriarcale. Ma a tenere
in piedi le famiglie, soprattutto
nelle emergenze, sono le donne. A loro
rendiamo omaggio, a loro mandiamo
una testimonianza concreta del nostro
sostegno.
Proveremo, in questi numeri, a
raccontare un po’ delle loro storie. Storie di ordinario eroismo.
Come quella di Nadia, mamma di tre figlie. La prima l’ha già resa nonna, le
altre due vanno ancora a scuola. Suo
marito ha perso il lavoro molto tempo
fa, a causa della guerra. Così lei, oltre a
mandare avanti la casa, ha dovuto darsi
da fare per guadagnare, e per fortuna
ha trovato un posto come cuoca. «Tutti
i giorni devo camminare a lungo per
andare al lavoro, anche se cadono i razzi
ed è pericoloso stare in strada. E non
è facile fare coraggio a mio marito, che
si sente inutile e pian piano sta perdendo
ogni speranza. Il momento peggiore,
però, è venuto quando la nostra
figlia più piccola, Myriam, di 12 anni, si
è ammalata. Nessuno riusciva a capire
che cosa avesse: la pelle del cranio si
squamava e cadeva, i capelli venivano
via a ciocche. Abbiamo girato tutta
Aleppo in cerca di un medico che si
raccapezzasse, e a ogni visita Myriam
era sempre più disperata».
«Alla ne siamo riusciti a trovare
una cura, uno dei medici ha capito che
tutto dipendeva dall’inquinamento
dell’acqua. Mia figlia era stata colpita
da un virus. Adesso va un po’ meglio, le
cure cominciano a fare effetto, lei non
è più depressa come prima. Allo stesso
tempo, però, occupandoci di nostra figlia, abbiamo scoperto quanti bambini
e giovani di Aleppo hanno problemi
simili, causati da acqua e cibi sporchi,
o dall’inquinamento dell’aria. Avremo
bisogno di molto tempo per ripulirci
da questa guerra».
Tutte le mamme di Aleppo lottano
come tigri per tenere insieme le
loro famiglie. Fra Firas, viceparroco
della parrocchia di San Francesco, nel
quartiere cristiano di Azizieh, ci ha
fatto conoscere quella di Anna. Una
famiglia, la sua, non ricca ma che riusciva
a tirare avanti: direttrice di
un centro catechistico lei, falegname
il marito. Una figlia piccola, Sarah,
6 anni, che cominciava ad andare a
scuola. Proprio per lei Anna ha deciso
di lasciare tutto. «Sarah era terrorizzata
dalle esplosioni e dal rumore degli
aerei, non dormiva più, non voleva più
uscire, era sconvolta. Non ce la faceva
più. Così abbiamo deciso di partire».
Anna e il marito vendono la casa e
tutto ciò che possiedono per pagare il
viaggio che li deve portare in Germania
attraverso Turchia, Grecia e Italia.
«Siamo finiti nelle mani di trafficanti
che ci hanno tolto tutto», racconta.
«In Turchia hanno preteso una grande
somma per il viaggio, poi ci hanno
fatto aspettare molti giorni perché
spendessimo là tutti i risparmi. Così,
quando siamo sbarcati in Grecia su
una scialuppa da venti posti su cui eravamo
in quaranta, non avevamo più
un soldo. Siamo rimasti lì cinque mesi.
In attesa del permesso di soggiorno io
ho fatto la badante di persone anziane,
mio marito di tutto. Non voglio ripensare
alle condizioni in cui abbiamo
vissuto. Avevamo un unico pensiero:
portare Sarah in un Paese senza bombe
e senza violenza. Siamo infine riusciti
ad arrivare in Germania, ci stiamo
ambientando. Ma non possiamo non
chiederci: ora la tregua tiene, forse ci
sarà la pace. Abbiamo fatto bene a lasciare
Aleppo, a rinunciare alla nostra
vita?». Come dice padre Firas, la gente
di Aleppo è bombardata non solo
dai missili ma anche dalle domande.
Questa nostra campagna ha proprio
questo obiettivo: non rispondere ma
far loro sentire che una risposta può
arrivare.