Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
mercoledì 06 novembre 2024
 
Family Game Aggiornamenti rss Giuseppe Romano
Esperto di videogame

Tecnologia e poesia

Sulla scorta del bel libro di Lynch, di cui parlavo nello scorso post, sottopongo ai lettori qualche reminiscenza poetica in tema.

 Parto dal fatto che nel titolo, Il profumo dei limoni, si può intuire una citazione da Eugenio Montale. È una delle poesie più celebri della raccolta Ossi di seppia e si intitola proprio “I limoni”. Questi sono i versi conclusivi:

La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d' oro della solarità.
 

Abbiamo un grande bisogno di sorprese come queste, quando la nostra luce si fa avara. È un bel richiamo a guardare oltre le porte socchiuse, a non accontentarci della superficie.

A questo proposito – e ho sempre in mente la conversazione sul rapporto fra vita e tecnologia, nel segno di una gerarchia di valori a cui tutti dovremmo tenere come a una questione vitale – mi torna in mente un’altra poesia della stessa raccolta, che in questo contesto possiede una sorprendente “chiave di lettura tecnologica”. Ecco il testo completo:

Eugenio Montale, premio Nobel 1975 per la letteratura
Eugenio Montale, premio Nobel 1975 per la letteratura

Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.

Poi come s’uno schermo, s'accamperanno di gitto
alberi case colli per l'inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

È una poesia che può colpire per l’horror vacui che ne traspare. Ma se l’applichiamo alla “realtà virtuale” della tecnologia, se interpretata come “altro mondo” in cui tanti si rifugiano, ecco che la si può rileggere al rovescio: quando siamo nel mare digitale sì che conviene essere fra gli “uomini che si voltano”. E che riflettono.


26 febbraio 2013

 
Pubblicità
Edicola San Paolo