C’è chi ha qualificato il nostro tempo, non solo come un’epoca “postmoderna” e complessa, ma anche come l’inizio di un’epoca “post-cristiana”, nella quale la Chiesa cattolica, la fede, la morale, le celebrazioni liturgiche, sarebbero residui di una mentalità religiosa sorpassata. Pretendere – si dice – di essere cristiani nel terzo millennio, è come utilizzare una vecchia Olivetti per scrivere anziché usare il computer e navigare in Internet. «La Chiesa», ha scandito papa Francesco, «è chiamata a uscire da sé stessa e andare verso le periferie. Non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia. Quando la Chiesa non esce da sé stessa per evangelizzare, si ammala». Che dire? Indubbiamente, se è inammissibile parlare di epoca post-cristiana, dobbiamo riconoscere che nel nostro tempo l’indifferenza religiosa e l’ateismo pratico, la persistente crisi culturale e morale, il micidiale “terrorismo”, rappresentano delle sfide ineludibili. La fede cristiana, però, non è sciroppo ma lievito, non è sonnifero, ma dinamismo vitale. In questa prospettiva, è certo che la fede autentica in Cristo Gesù è generatrice di speranza, di amore, di giustizia, di libertà e di gioia. Papa Francesco ha puntualizzato: «Una fede ardente – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere i valori».
RENATO PERLINI – VERONA