Vladimir Putin durante i lavori del G20 a San Pietroburgo (foto Reuters).
Decidere di attaccare (o non attaccare) questo o quel Paese perché questo o quell'altro Paese ti danno ragione (o ti danno torto) somiglia a quando, da ragazzi, si giocava al pallone sulla base del principio che "tre corner è rigore". Se però prendiamo per buone le cronache del G20 svoltosi a San Pietroburgo (Russia), dobbiamo concludere che a favore dell'attacco alla Siria sono Usa, Francia, Canada, Turchia, Arabia Saudita, Australia, Corea del Sud, Gran Bretagna, Giappone, Corea del Sud e Italia; contrari, Russia, India, Cina, Indonesia, Argentina, Brasile, Sud Africa e Italia.
La cosa più divertente, o più penosa, è che l'Italia è stata inserita, ora da Obama ora da Putin, in entrambe le liste. Giustamente, perché noi siamo contro ma anche a favore, di qua e nello stesso tempo di là, per la pace ma con un pizzico di guerra. Come al solito.
Tornando alle liste, possiamo leggerle in tanti modi diversi. A favore dell'attacco ci sono più democrazie, contro più regimi autoritari. A favore più Europa, contro più Asia. Dal punto di vista della quota di popolazione mondiale non c'è gara: Russia, Cina, India e Indonesia fanno, da sole, quasi 3 miliardi di persone, quando la popolazione mondiale ancora non arriva a 7.
L'unico dato evidente è indiscutibile è che tutte le "vecchie" potenze (Usa, Francia, Gran Bretagna, Giappone,,,) stanno su lato dell'attacco, e tutte le nuove (Cina, India, Brasile...) sono contrarie. Questo ci dice poco dal punto di vista della ragione e del torto (essere nuovi, come essere giovani, non è di per sé un merito), mentre ci parla con chiarezza di un mondo emergente che non riconosce più l'autorità degli Usa come poliziotto del mondo. Qualcuno, a Pechino o a Mosca, si chiede perché debba essere la Casa Bianca a decidere che delle stragi in Ruanda possiamo tranquillamente fregarcene mentre quelle in Siria sono, addirittura, un problema della sicurezza nazionale americana.