Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
lunedì 23 giugno 2025
 
Rito romano Aggiornamenti rss don Gianni Carozza

Dodicesima domenica del Tempo ordinario (anno C) - 23 giugno 2013

Luca (9,18-24)
Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto ». Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno». Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà».

Il nostro “sì” a Gesù

Gesù prega il Padre nella solitudine di una relazione dalla quale noi sembriamo così “lontani”. Certo, è una lontananza che vorremmo superare dicendo a Gesù: «Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1). E Gesù in realtà lo fa: al discepolo che chiede di imparare a pregare risponde insegnando a tutti il Padre nostro, le cui parole basterebbero a farci pregare per tutta la vita, senza correre il rischio della banalità o del chiedere male. Chissà che cosa si sono detti Gesù e il Padre? Forse il Padre suggerisce a Gesù una verifica della sua predicazione: la gente ha davvero capito chi sei? E Gesù scopre che non tutti hanno compreso. Da Pietro però riceve una confessione di fede precisa, esatta, che diventa invocazione di fede per tutta la Chiesa: «Tu sei il Cristo di Dio». Ma c’è di più in questo brano di Vangelo. Ci accorgiamo infatti che nella sua preghiera “segreta” davanti al Padre, Gesù prende la decisione di coinvolgerci a fondo nella sua stessa missione. Lo fa con un discorso che possiamo tentare di “tradurre” così: «Non tutti capiscono; ma voi, voi che siete miei amici, che cosa condividete di quanto io dico e faccio? Che cosa siete disposti a mettere in gioco per il Regno di Dio? Sia chiaro: ora, per questo Regno, vi chiedo di spendere voi stessi, sino in fondo!». Qui non ci possono essere equivoci. La prospettiva è dichiarata con la massima chiarezza: «Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato... ucciso e risorgere il terzo giorno». C’è solo lo spazio per una precisazione da parte del Signore e per la sua grande richiesta: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà». Segue poi il silenzio che precede il nostro “sì” o il nostro rifiuto. Un silenzio, dunque, che apre lo spazio per la libertà vera; quella che consegna tutto il proprio “io” alla volontà del Padre. Sì, perché nessuno può diventare discepolo di Gesù soltanto affannandosi a ripetere «Signore, Signore». Ci vuole altro: occorre «fare la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21). Senza questa consegna di sé, si rischia di costruire castelli di sabbia, castelli fragili che crollano per loro stessa debolezza. Poco prima dell’episodio del Vangelo di oggi, così esigente, Gesù manda in missione i suoi discepoli con il potere e la forza contro tutti i demòni e le malattie. Li invia ad annunciare la pace a ogni casa, in assoluta semplicità e povertà. Questi discepoli, che ritorneranno dopo la missione pieni di entusiasmo, certificano che la parola di Gesù è vera: si perde in lui la vita per ritrovarla nel Regno di Dio. Noi pure siamo chiamati a sperimentare la certezza del buon esito di ogni nostro coinvolgimento nella missione della Chiesa: un coinvolgimento che comporta sì rinunce e fatiche, ma soprattutto gioie e consolazioni, dal momento che la nostra fede e la sua operosità hanno le loro radici in Dio e nel suo amore onnipotente e assolutamente fedele.


21 giugno 2013

 
Pubblicità
Edicola San Paolo