Caro don Stefano, occhio per occhio e dente per dente. La richiesta sembra assurda a noi che viviamo secondo la logica della reciprocità: se mi fai il bene, ti faccio il bene, se mi fai il male, ti spezzo in due.
Ma Gesù ci chiede di entrare nella difficile logica della potenza dell’impotenza, che non si fonda sulla passività, ma sulla scelta di resistere al male estromettendo la violenza da ogni rapporto umano. Al nugolo di obiezioni che questo comporta, silenziosamente risponde il Crocifisso.
Questa è la mia preghiera quotidiana. Non vado a Messa per prepararmi un posto in paradiso (la Misericordia di Dio è tanto grande che mi accetterà da povero peccatore), ma per ricordarmi quanto è grande la sua bontà per poi riversarla sul mio prossimo. Da laico trovo giusto che l’Ucraina difenda i propri territori invasi, ma da cristiano come faccio ad accettare questa “difesa a tutti i costi”?
EMANUELE
Invidio, ma non più di tanto, quelli che trattando di guerra e di pace hanno certezze, sicuri delle proprie convinzioni. Io, invece, devo fare i conti con dubbi, incertezze, esitazioni e, se mi trovo di fronte alla necessità di fare scelte, cerco tra mille difficoltà di orientarmi valutando le possibili conseguenze delle scelte che sto per fare.
Se vi è stretta connessione tra pace e giustizia, come ci insegna la Bibbia e ci ricorda don Tonino Bello, possiamo impegnarci, nel nostro piccolo a praticare la giustizia agendo non in considerazione del proprio tornaconto ma per promuovere il bene comune.
PINUCCIO MANGINI
Il sangue delle migliaia di bambini, giovani, anziani morti a causa delle guerre è vano. È troppo comodo raccontare che questo sangue ha un senso: giustificare gli interessi di chi decide le guerre e nasconde all’estero i propri figli. Che muoiano gli altri: non contano nulla. Chiudo gli occhi e penso che potrebbero esserci, là in quelle trincee, sotto quelle macerie, i miei figli, i miei nipotini...
Mi dico: E tu, capo di stato, chi sei per decidere che mio figlio, dono di Dio, deve morire? Don Milani 60 anni fa scriveva: «L’obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni». Queste parole sono per me sempre più vere, chiare, squisitamente evangeliche.
UNA NONNA
Mi chiedo, da credente e dopo l’evento “Arena di pace” di Verona, come si può operare concretamente ogni giorno nel solco di una cultura della pace. Sono convinta che oggi ci venga chiesta la responsabilità della testimonianza.
Come hanno affermato vari profeti – come Tonino Bello e padre Alex Zanotelli – è arrivato il momento di far camminare l’utopia di pace con le nostre gambe, di uscire dall’ombra dei buoni propositi e di far sentire la nostra voce. Dobbiamo pretendere che non si costruiscano più armi, agire nell’economia chiedendo di ridurre le spese militari e convertire nella sanità, nella scuola, nell’aiuto alle numerose e crescenti forme di povertà il denaro speso per le armi.
Per questo auspico che si parli di queste tematiche nelle comunità per liberarci dalla schiavitù della guerra e per tornare ad avere un futuro. Il ruolo e la testimonianza dei credenti non sono più delegabili.
ADRIANA
In queste settimane sto ricevendo molte lettere che affrontano il tema della guerra. Quelle qui pubblicate sono considerazioni di alcuni lettori su cui meditare personalmente. Dobbiamo essere innanzitutto ben coscienti che la pace non è né gratuita né garantita, come ci siamo illusi in Europa in questi decenni, miopi a non vedere un mondo in fiamme appena fuori dai nostri confini. In tantissimi luoghi vi sono guerre ad alta e bassa intensità, conflitti sociali, dittature che fanno strali di ogni principio di giustizia. Questo causa morte, distruzione, fughe, disperazione. Non possiamo più far finta di niente.
La cosa ci riguarda anche perché diventa sempre più attuale pure alle nostre latitudini. La guerra è uno scenario possibile, è un’opzione politica sempre più considerata, non è più un tabù nei discorsi pubblici della classe dirigente europea. Dobbiamo esserne ben coscienti. Ecco cosa disse Donald Tusk, ex presidente del Consiglio europeo e da poco a capo del Governo polacco, in un’intervista del 29 marzo scorso: «È la prima volta dal 1945 che ci troviamo in una situazione del genere. So che sembra devastante, soprattutto per i più giovani, ma dobbiamo abituarci mentalmente all’arrivo di una nuova era. È l’era prebellica».
E Charles Michel, ex presidente del Consiglio europeo, ha scritto: «Dobbiamo essere pronti a difenderci e passare a una modalità di economia di guerra». La storia insegna a noi europei che i conflitti sono parte della storia dell’umanità, ma da questi ultimi ottant’anni sappiamo che la via per la loro risoluzione ha anche altre strade rispetto alla guerra: la conoscenza reciproca, il miglioramento delle condizioni economiche della popolazione, il dare priorità al dialogo e alla negoziazione con chi ha posizioni e interessi diversi o addirittura opposti. E noi cosa possiamo fare? Gesù lega l’essere operatori di pace, che è una delle beatitudini evangeliche, con la figliolanza con Dio (cfr. Matteo 5,9).
Possiamo operare la pace solo perché siamo figli. Se, con l’aiuto dello Spirito Santo, decidiamo di vivere davvero la nostra vita da figli, e quindi da fratelli di chiunque ci vede come “nemico”, sapremo dare anche noi una risposta alle tante domande che ci sorgono riguardo ai grandi conflitti tra le nazioni. Il Papa invita continuamente la Chiesa a pregare per la pace. Essa è un dono dall’alto, è un dono di Dio da chiedere sempre, come si sta facendo in molti santuari in questi giorni, come ad esempio a Medjugorie. Pacificati dentro, potremo essere davvero operatori di pace, a partire dalle guerre che si combattono ogni santo giorno nei nostri ambienti di vita.