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sabato 24 maggio 2025
 
Il blog di Gianfranco Ravasi Aggiornamenti rss Gianfranco Ravasi
Cardinale arcivescovo e biblista

Una donna affranta

Nell’antico santuario ebraico di Silo la folla si sta accalcando per una festa, forse quella autunnale delle Capanne, la solennità della vendemmia. Il sacerdote-capo, Eli, controlla che tutto si svolga con compostezza. All’improvviso nota una donna che, in disparte, prega muovendo le labbra ma senza emettere voce, come è prescritto per la preghiera pubblica. La sua reazione è dura: sospetta che la festa dell’uva abbia avuto qualche conseguenza e apostrofa la donna con asprezza.
Ma quella donna, profondamente infelice, gli replica: «No, io sono solo una donna affranta e non ho bevuto vino né altra bevanda inebriante, ma sto solo sfogandomi davanti al Signore!». Protagonista di questo piccolo dramma biblico (1Samuele 1), che si svolge nell’XI sec. a.C., è Anna, un nome che in ebraico evoca il chinarsi amoroso e “grazioso” di Dio sulla sua creatura. A prima vista questo nome sembra essere smentito dalla storia di chi lo porta: Anna è la moglie sterile di Elkana. In Oriente la donna sterile era considerata un ramo secco e inutile ed è per questo che il dolore di Anna è così intenso, anche se suo marito non glielo fa pesare.
Anna, nella nostra sequenza di piccole storie familiari che incrociano il tema della misericordia, è una sorta di simbolo dell’orante infelice che è però certo della vicinanza amorosa di Dio, tant’è vero che a lei dobbiamo uno splendido cantico citato nel capitolo 2 del Primo Libro di Samuele. Sì, perché alla fine il Signore pietoso e misericordioso si chinerà su questa sua fedele e le donerà la grazia di un figlio, compiendo così il significato del nome “Anna”.
L’inno di ringraziamento intonato dalla donna è, in realtà, un salmo autonomo di taglio regale-messianico. Tuttavia ben s’adatta alla situazione di Anna il cui grembo sterile, simile a una tomba, è fatto germogliare di vita: «La sterile ha partorito sette volte e la ricca di gli è sfiorita. Il Signore fa morire e fa vivere, scendere agli inferi e risalire» (2,5-6). Ma c’è di più. Questo cantico è stato definito il Magnificat dell’Antico Testamento non solo per il suo avvio simile al noto inno di Maria («Il mio cuore esulta nel Signore…»), ma anche perché la madre di Gesù modellerà la sua preghiera di lode proprio su questo inno antico. Forse è anche per questo che la tradizione cristiana ha attribuito alla madre di Maria il nome di Anna.
Nella storia di questa donna brilla non solo l’amore del suo uomo che è pronto ad accoglierla anche nella sua sterilità. Bellissime sono le parole che le rivolge: «Anna, perché piangi? Perché non mangi? Perché è triste il tuo cuore? Non sono forse io per te meglio di dieci figli?» (1,8). Uno dei volti della misericordia è proprio la tenerezza. In questa vicenda domina, però, l’ascolto del Dio misericordioso la cui promessa si manifesta attraverso la voce del sacerdote Eli: «Va’ in pace e il Dio d’Israele ti conceda quello che gli hai chiesto!» (1,18). In Dio, poi, si compie quello che il poeta irlandese William B. Yeats, morto nel 1939, affermava: «Una pietà ineffabile si nasconde nel cuore dell’amore»


16 marzo 2016

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