Nell’antico santuario ebraico
di Silo la folla si sta accalcando
per una festa, forse quella
autunnale delle Capanne, la
solennità della vendemmia.
Il sacerdote-capo, Eli, controlla
che tutto si svolga con compostezza.
All’improvviso nota una donna che, in
disparte, prega muovendo le labbra ma
senza emettere voce, come è prescritto
per la preghiera pubblica. La sua reazione
è dura: sospetta che la festa dell’uva
abbia avuto qualche conseguenza e
apostrofa la donna con asprezza.
Ma quella donna, profondamente
infelice, gli replica: «No, io sono solo una
donna affranta e non ho bevuto vino né
altra bevanda inebriante, ma sto solo
sfogandomi davanti al Signore!». Protagonista
di questo piccolo dramma
biblico (1Samuele 1), che si svolge nell’XI
sec. a.C., è Anna, un nome che in ebraico
evoca il chinarsi amoroso e “grazioso”
di Dio sulla sua creatura. A prima vista
questo nome sembra essere smentito
dalla storia di chi lo porta: Anna è la
moglie sterile di Elkana. In Oriente la
donna sterile era considerata un ramo
secco e inutile ed è per questo che il dolore
di Anna è così intenso, anche se suo
marito non glielo fa pesare.
Anna, nella nostra sequenza di piccole
storie familiari che incrociano il
tema della misericordia, è una sorta
di simbolo dell’orante infelice che è
però certo della vicinanza amorosa di
Dio, tant’è vero che a lei dobbiamo uno
splendido cantico citato nel capitolo 2
del Primo Libro di Samuele. Sì, perché
alla fine il Signore pietoso e misericordioso
si chinerà su questa sua fedele e le
donerà la grazia di un figlio, compiendo
così il significato del nome “Anna”.
L’inno di ringraziamento intonato
dalla donna è, in realtà, un salmo
autonomo di taglio regale-messianico.
Tuttavia ben s’adatta alla situazione di
Anna il cui grembo sterile, simile a una
tomba, è fatto germogliare di vita: «La
sterile ha partorito sette volte e la ricca
di gli è sfiorita. Il Signore fa morire e
fa vivere, scendere agli inferi e risalire»
(2,5-6). Ma c’è di più. Questo cantico è
stato definito il Magnificat dell’Antico
Testamento non solo per il suo avvio
simile al noto inno di Maria («Il mio
cuore esulta nel Signore…»), ma anche
perché la madre di Gesù modellerà la
sua preghiera di lode proprio su questo
inno antico. Forse è anche per questo
che la tradizione cristiana ha attribuito
alla madre di Maria il nome di Anna.
Nella storia di questa donna brilla
non solo l’amore del suo uomo che
è pronto ad accoglierla anche nella sua
sterilità. Bellissime sono le parole che
le rivolge: «Anna, perché piangi? Perché
non mangi? Perché è triste il tuo cuore?
Non sono forse io per te meglio di dieci
figli?» (1,8). Uno dei volti della misericordia
è proprio la tenerezza. In questa
vicenda domina, però, l’ascolto del Dio
misericordioso la cui promessa si manifesta
attraverso la voce del sacerdote
Eli: «Va’ in pace e il Dio d’Israele ti conceda
quello che gli hai chiesto!» (1,18).
In Dio, poi, si compie quello che il poeta
irlandese William B. Yeats, morto nel
1939, affermava: «Una pietà ineffabile si
nasconde nel cuore dell’amore»