E così oggi sono iniziati i lavori dell’Incontro Mondiale delle famiglie di Dublino. Con un po’ di pioggia, perché altrimenti non sarebbe Irlanda, che è abbastanza fastidiosa, perché l’evento prevede molte attività all’aperto, e da una sala all’altra ci sono spazi anche lunghi da percorrere all’aperto. Un po’ come la vecchia Fiera Campionaria di Milano, per chi se la ricorda…
Però qui gli stand raccontano i mille volti della religiosità familiare, le piccole e grandi opere di solidarietà e di accoglienza, il lavoro di tante pastorali familiari, le numerosissime iniziative della Chiesa irlandese nelle sue 26 diocesi. Un caleidoscopio di esperienze, di storie da ascoltare, di persone da incontrare.
Io però come primo passo non potevo mancare l’incontro su “La dignità e la sicurezza nell’era digitale: affrontare una nuova sfida per le famiglie”, coordinato da una brillante psicologa irlandese e con esperti dagli Stati Uniti, compreso un relatore che si è autodefinito “padre impegnato di sei figli”. Il tema è in effetti direttamente collegato ai contenuti dell’ultimo Rapporto Cisf (2017, “Le relazioni familiari nell’era delle reti digitali”), e volevo capire se i risultati raccolti dal Cisf con oltre 3.700 interviste avevano riscontro anche da altri contesti nazionali.
L’incontro è stato davvero interessante (oltre che molto partecipato – ma questo è “normale”, in un evento così affollato), e mi ha colpito soprattutto il grande e condiviso richiamo a ad una rinnovata responsabilità dei genitori davanti al sistema dei media digitali e dei nuovi mondi social abitati dalle nuove generazioni. “More vigilant and more intentional parents”, genitori più vigili e più consapevoli, o meglio, più decisi a fare i genitori, ad essere presenti, anche in mondi e linguaggi che i figli spesso padroneggiano meglio e prima di loro. In questo il papà “relatore” ha strappato applausi a scena aperta, quando ha ricordato la centralità del tempo del pasto in famiglia come uno spazio da custodire in tutti i modi, per tenere aperta la comunicazione tra i genitori e i figli, per raccontarsi e farsi raccontare, e per poter avere, in famiglia, “a secret place”, uno spazio segreto, intimo, in cui potersi accogliere reciprocamente.
Quindi senza cellulari o tablet accesi (e certamente anche senza televisione accesa!); ci sarà tempo dopo, per la propria vita “social”… Un altro tema forte, emerso dalle domande dal pubblico, è stata la rapidità dei cambiamenti in corso in questi ambiti (da tempo gli adolescenti stanno scappando da Facebook, verso social di cui quasi ignoriamo i nomi), e l’urgenza, per la Chiesa, di non avere più “tempi biblici” di reazione, ma di saper interagire subito con queste novità. Non si possono aspettare documenti ufficiali, pronunciamenti collegiali delle conferenze episcopali, studi e approfondimenti: occorre vivere in trincea, rischiando subito una reazione e un intervento educativo, soprattutto verso le nuove generazioni. E in questo le famiglie sono chiamate per prime.
Da ultimo, un breve accenno della coordinatrice dei lavori ha colpito tutti in modo molto efficace, quando ha ricordato che già oggi, in alcune scuole d’infanzia irlandesi, uno dei primi lavori che le maestre devono fare con i bambini e metterli in cerchio e aiutarli (costringerli, educarli) a guardarsi reciprocamente negli occhi (eye contact exercise), sostenendo così una relazione faccia a faccia, che non si faccia “schermo degli schermi”. Perché i bambini oggi fanno sempre più fatica a guardarsi negli occhi: e forse gli adulti ne sono ancora capaci? E su questa impressionante informazione e riflessione – anche se “minima”, di vita quotidiana – ho ripensato al capitolo del Rapporto Cisf redatto dallo psicologo Federico Tonioni, direttore del primo “ambulatorio sulle web dipendenze”, promosso dall’Università Cattolica di Roma, quando ricordava la stessa “fuga dallo sguardo” degli adolescenti incontrati nei servizi. Guardiamoci negli occhi di più, comunichiamo di più, non facciamoci buttare fuori dai mondi social dei nostri figli. Da Dublino in messaggio chiaro, che chiama in causa direttamente ogni famiglia, ma anche ogni agenzia educativa: e la comunità ecclesiale per prima.