La liturgia della solennità del Natale del Signore non rievoca semplicemente l’evento della nascita di Gesù a Betlemme, ma approfondisce il significato per noi dell’apparizione del Figlio di Dio in carne umana. Così, nella santa Messa della notte non viene letto un brano del Vangelo di Matteo o di quello di Luca (gli unici che parlano della nascita di Gesù), ma viene proclamata una sezione del Prologo del Vangelo di Giovanni. Questo Vangelo, scritto parecchi anni dopo rispetto agli altri, raccoglie molto probabilmente il frutto di una lunga contemplazione della vicenda di Gesù. Il Prologo con cui si apre è un componimento innico, denso di immagini evocative, che è un condensato teologico. Nella parte proposta dalla liturgia si parla della venuta nel mondo del Figlio di Dio utilizzando la metafora della luce, che mette l’accento sull’aspetto visibile del mistero: con l’Incarnazione, l’invisibilità di Dio è superata. In Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo, la gloria di Dio si può contemplare, perché lui è il ritratto più somigliante al Padre che possa esserci. Gesù è la «luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Giovanni 1,9). La sua vita e le sue scelte indicano e invitano a un cammino (cfr. anche la prima lettura diIsaia 2,1-5). Di lui si ricorda la venuta nel mondo: il suo farsi carne e il suo «venire ad abitare in mezzo a noi», avvenuto, come dice la seconda lettura, «quando venne la pienezza del tempo» (Galati 4,4). «Venire ad abitare», nell’originale greco, è detto attraverso una metafora: «porre la tenda». Tale immagine, che forse evoca in noi la dimensione della precarietà di chi non ha una casa o di chi si avventura momentaneamente in una terra non sua e spera di arrivare alla meta, ha un retroterra biblico molto importante. Nel libro dell’Esodo, infatti, Dio si fa costruire un santuario (il suo luogo proprio), ma non lo vuole di pietra o di muratura: sarà una tenda, che verrà montata e piantata al centro dell’accampamento quando ci si fermerà, e verrà smontata quando ci si rimetterà in marcia. In questo modo Dio si fa pellegrino, accompagnando il suo popolo che cammina nella storia. Nella santa Messa del giorno si ritrovano le stesse tematiche. La lettura del profeta Isaia (8,23b–9,6a), un testo specifico per il Natale nella liturgia ambrosiana, riprende l’immagine dalla luce per sfociare nell’annuncio gioioso della nascita di un figlio, che anticipa profeticamente la nascita del bambino di Maria. Questi, ricorda la lettera agli Ebrei, è la parola definitiva del Padre e ne rende visibile la gloria. Il racconto evangelico non è meno denso di significato. Le circostanze della sua nascita ben mettono in evidenza l’umanità di Gesù, sottoposta alle leggi umane del censimento, ai disagi di un alloggio di fortuna, ma anche alla cura di una madre per il suo primogenito. Nel medesimo tempo, però, ci sono i segni della presenza divina: la luce che avvolge i pastori e gli angeli che annunciano che è nato un salvatore, sono quelli più usuali, ma in una piena assunzione dell’umanità, anche una sistemazione di fortuna – «un bambino avvolto in fasce adagiato in una mangiatoia» – diviene manifestazione di Dio.