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Rito romano Aggiornamenti rss don Gianni Carozza

VIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) 2 MARZO 2014

Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? [...] Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.
Matteo 6,24-34

TRA DIO E IL DENARO NON C'E' PROPRIO NESSUN FEELING

«Nessuno può servire due padroni ». Forse rimaniamo perplessi su come Gesù si esprime nel suo riferirsi a Dio: lo chiama «padrone». Ascoltando però con più attenzione ci accorgiamo che Gesù intende mettere in luce che siamo noi a rischiare di avere tanti “padroni” nella nostra vita: diventiamo schiavi di molte cose in una sola giornata e ancor più in tutta una vita, mentre Dio non vuole essere nostro padrone, ma nostro Padre.

La decisione da prendere è davvero importante: «Non potete servire Dio e la ricchezza». Gesù ci sta mettendo in guardia da diverse forme di schiavitù e le sintetizza nella ricchezza economica, tra tutte la più attraente e schiavizzante. Sia chiaro: tra Dio e “il denaro” non c’è feeling!

Tra Dio e l’uomo schiavo di una cosa qualunque, in comune c’è solo il desiderio di libertà da quella forma di schiavitù: Dio desidera sempre la nostra libertà… noi molto meno e spesso in grave ritardo, quando il desiderio di possedere è già diventato ossessione opprimente.

IL NOSTRO VERO BENE.

Questo significa che non dovremmo mai dilazionare una decisione liberante appena ci accorgiamo che i nostri desideri puntano più verso l’avere a ogni costo, l’accumulare con smania insaziabile, il possedere sempre di più. Il semplice e sapiente esame di coscienza della sera sulle scelte della giornata è un baluardo molto efficace a questo riguardo: non aspettiamo che la nostra coscienza si chiuda nell’insensibilità al Vero e al Bene cui siamo chiamati!

Gesù ci dice qual è questo vero bene: non è nel cibo né nel vestito né in nessuna delle tante preoccupazioni quotidiane. Il nostro vero bene sta nel «regno di Dio e nella sua giustizia» e dunque in qualcosa che non possiamo procurarci da noi stessi ma dobbiamo attendere in dono. Non è un impegno di poco conto. Cerchiamo anzitutto di capire che cosa è il regno di Dio: è la presenza di Dio nel nostro tempo e in noi.

Questa presenza ci è donata: la dobbiamo solo riconoscere, facendoci attenti ai segni della Provvidenza, dell’affetto paterno con cui Dio si prende cura di ciascun uomo. In secondo luogo ci domandiamo che cosa è “la giustizia del regno di Dio”? È il nostro impegno a non lasciare l’altro in balia di sé stesso nelle difficoltà, in particolare il povero che va difeso e sostenuto nel suo desiderio di riscatto da tutto ciò che oscura la sua dignità di uomo e di figlio di Dio.

Questa giustizia non ci è data senza che avvertiamo la necessità di amarla e suscitarla, di assecondare la gelosia di Dio verso il povero; e spesso questo non ci viene spontaneo. Cercare «anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia» è condizione previa perché l’amore provvidente di Dio ci sia sempre assicurato «in aggiunta».

E così, quando domandiamo qualcosa «per la nostra vita», possiamo e dobbiamo chiedere anzitutto per il povero e riuscire in tal modo a essere responsabili della fraternità che ci lega gli uni agli altri, in particolare con chi non ha nulla. Allora Dio ci renderà liberi, rivelerà il suo volto di Padre attento e provvidente e sapremo non lasciarci schiacciare dagli affanni e dalle preoccupazioni.


27 febbraio 2014

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