QUELLO CHE CI HA SPINTO A DARE IL MEGLIO DI NOI
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà».
Giovanni 6,24-35
I desideri e gli appetiti sono il motore delle nostre azioni. Posso seguire un ragionamento che mostri quanto sia opportuno fare questo o quello, ma finché per quella cosa non ho attrazione, la farò controvoglia e smetterò appena posso, oppure non la farò proprio.
Abbiamo educato una generazione di cristiani con un metodo fondamentalmente scolastico, parlando di valori e di verità convincenti. E i giovani sono scappati appena ne hanno avuta la possibilità. Perché non abbiamo presentato un cibo migliore, ma idee, secche come un sasso, desiderabili quanto una colica. Abbiamo cercato di far leva sul senso del dovere, ma parlavamo di cose che solo l’amore rende piacevoli – come il servizio, che diventa dolce solo per affetto.
E così abbiamo visto mille volte la parabola del volontario, che non è una storia ma una curva: si inizia con buona intenzione, si tiene fino a un massimo di impegno e poi si scema e si smette, perché la cosa non dà più appagamento. Cercare, inseguire, essere tenaci su qualcosa lo si fa perché questo qualcosa, in qualche modo, fa scattare il nostro desiderio, il nostro appetito. E non lo delude.
Così, nel Vangelo di questa domenica, la gente insegue Gesù, e lo fa per mangiare. E Gesù non dice: “Brutti cattivi, così non si fa!” Ma: “Voi desiderate ancora troppo poco! Voi vi state accontentando! Si può mangiare meglio. Vi state affaticando per una cosa piccola”. Questa è tutta un’altra prospettiva educativa: il mondo dei “sì” da educare, non il mondo dei “no” da irrigidire.
Inutile dire a un uomo che sta sprofondando nel vizio che quel che fa è inaccettabile. Nessuno lascerà mai il male per una convinzione astratta. Quel che fa cambiare direzione è trovare quel che è meglio di ciò che si sta facendo, quello che dà più vita.
Il combattimento interiore non è fra bene e male. Chi pensa così è ancora all’età della pietra sotto il punto di vista interiore. Il combattimento del cuore è fra il bene e il bene, quello che “tiene” e quello che si sfalda, fra vita falsa, che sembra vera ma non lo è, e vita autentica che lo sembra e lo è proprio. Nessuno fa il male per il male, ma perché pensa che, a conti fatti, sia il bene.
L’UOMO VECCHIO. In questa domenica la seconda lettura, che in genere segue un ciclo proprio indipendente, viene incontro a questa logica, e Paolo parla dell’«uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli». Passioni ingannevoli. Cibo che non nutre appieno.
Siamo cristiani perché una passione che non inganna ci si è accesa nel cuore, e mangiamo un cibo che dura, che tiene, che non delude.
L’arte di campare bene è l’arte della memoria della vera gioia, della soddisfazione senza retrogusti, e la fedeltà a quella memoria. Bisogna sempre ricordare quando abbiamo mangiato eternità, quando abbiamo toccato qualcosa che reggeva veramente, e tornare a quel cibo, e appoggiarsi dove il terreno è certo. E illuminare la vita a partire dalle cose che hanno “funzionato” bene, che ci hanno portato all’amore, che hanno tirato fuori il meglio di noi.