Luca (13,22-30)
Un tale chiese a Gesù: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”».
Che cosa è questa «porta stretta» di cui ci parla oggi il Vangelo se non “la porta della fede”, come è intitolata la Lettera apostolica con cui il papa Benedetto XVI introduceva, l’11 ottobre 2012, l’Anno della fede, che ormai volge quasi al suo termine? La fede che professiamo è spesso immaginata come una via difficile, quasi impraticabile se non dai “santi”, come una grave responsabilità che ci viene affidata e sulla quale saremo giudicati. Può essere anche così, ma con alcune fondamentali precisazioni che spesso dimentichiamo. Oggi Gesù ce ne offre una, la più importante, quando dice (nel brano di Matteo parallelo a quello di Luca che la liturgia di oggi ci propone): «Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano!» (Mt 7, 1314). In effetti, quando parliamo della fede rischiamo di parlare di qualcosa di così arduo da doverlo ritenere impossibile o quasi. Gesù invece, non nascondendoci le difficoltà, ci parla di una via che conduce alla vita e dunque di qualcosa che ci è necessario, benefico, liberante! E se è vero che a percorrere questa via sono stati i santi, è anche vero che il Signore la propone non solo ad alcuni ma a tutti, pur sapendo che è possibile da parte nostra ingannarci e scegliere diversamente. La fede è questione per pochi eletti? Certamente no! Essa è, prima di tutto, un dono e quindi qualcosa che possiamo fiduciosamente chiedere. È lo stile di vita che di fatto domandiamo per tutti noi quando nel Padre nostro preghiamo dicendo: «Venga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà...». La fede non è altra cosa rispetto al “conoscere” la volontà di Dio e all’incarnarla nella vita d’ogni giorno. In tal modo essa fa di noi un “segno vivo” della presenza, incoraggiante e fedele, del Signore nella sua Chiesa. Gesù stesso ci dice che sono molti, moltissimi coloro che verranno «da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio» e formeranno proprio quella Chiesa che oggi riconosciamo come “santa”, anche quando i cristiani sbagliano, perché essa si trova sempre in cammino sulla via stretta del Vangelo. Il problema vero non sono tanto le nostre cadute e mancanze morali, quanto la nostra rinuncia alla “libertà che si dona” per vivere la «libertà che si chiude in sé stessa e trattiene». Quest’ultima libertà non ama fino al dono di sé e rinuncia ad agire: finisce per accampare scuse che possono sembrare anche plausibili, come quelle di chi dice: «Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze». L’ammonimento di Gesù, nostro giudice e salvatore, è chiaro: egli ci domanderà conto non di quello che abbiamo udito o visto, non di quanti luoghi di culto abbiamo frequentato o meno, non delle amicizie più importanti che possiamo vantare, ma delle scelte difficili, magari non perfettamente portate a termine ma tenacemente perseguite per amore di lui e dei fratelli. Diversamente pende su di noi quel terribile «non vi conosco», aggravato dal fatto che saranno riconosciuti altri forse da noi disprezzati o sottostimati come degni di gioire eternamente nel Regno di Dio.