Abramo rispose: «Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti...». E quello replicò: «Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento». Ma Abramo rispose: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro». E lui replicò: «No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno». Abramo rispose: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti».
Luca (16,19-31)
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La scena evangelica è ben diversa da quella della scorsa domenica: là si raccontava di un amministratore, di un dipendente responsabile di beni altrui; qui si parla di un ricco responsabile di sé e delle molte cose che possiede di fronte a un povero per il quale non ha compassione.
La Bibbia non condanna la ricchezza onesta, sulla quale però occorre esercitare una forma quotidiana di responsabilità, il cui fulcro sta nell'attenzione al fratello israelita ma anche allo straniero. Il che è di grande attualità: «Vi sarà una sola legge... sia per voi sia per lo straniero che dimora in mezzo a voi, una legge perenne, di generazione in generazione; come siete voi, così sarà lo straniero davanti al Signore» (Numeri 15,15).
Dunque il ricco di questa parabola è in difetto rispetto alla legge di Mosè, è peccatore, tanto più perché il povero che sta alla sua porta non è uno straniero, verso il quale avrebbe comunque dei doveri di umanità, ma è uno del suo popolo. “Epulone” è il nome che la tradizione ha assegnato a quest’uomo ricordandolo come persona vissuta in un’esagerata abbondanza. Il povero ha invece un nome ben identificato: “Lazzaro”, che significa “colui che è assistito da Dio”.
Il contrasto tra i due personaggi della parabola è già nel loro stesso nome. Conosciamo bene la vicenda. Nell'aldilà le sorti sono rovesciate: «Il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo», sorte magnifica per chi non ha avuto altro che il Signore nella sua vita. «Morì anche il ricco e fu sepolto». Nient’altro. Ma è il seguito della parabola a sorprenderci: il ricco non smette di essere prepotente e, anche dall'inferno, dà ordini persino ad Abramo: «Manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua...».
Di fronte al diniego di Abramo il ricco diventa più consapevole della situazione rovesciata e dice, credendo ancora di potersi servire del povero: «Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca...».
Ha capito la lezione, ma è tardi: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti». E sarà proprio così: Gesù risorgerà dai morti, ma non accetteranno che Dio sia misericordioso verso il povero e il peccatore. Poco prima dell’inizio di questa parabola Gesù si esprime così rivolgendosi ai Farisei, che erano attaccati al denaro e si facevano beffe di lui: «Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole».
Quanto a noi: il poco che ci fa “ricchi” è un dono che, per rispetto alla dignità del povero, ci obbliga alla condivisione in un mondo in grado di mettere tutti al sicuro, ma in cui i poveri continuano a non partecipare al benessere loro dovuto e indispensabile.