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lunedì 07 ottobre 2024
 

Yemen, un'altra guerra di sciiti e sunniti

Una protesta anti-Houthi nello Yemen: la gente inneggia alla foto di re Salman dell'Arabia Saudita.
Una protesta anti-Houthi nello Yemen: la gente inneggia alla foto di re Salman dell'Arabia Saudita.

Cento aerei, 150 mila soldati, lo sforzo militare congiunto di 11 Paesi (Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Turchia, Kuwait, Bahrein, Marocco, Sudan e Pakistan) l'appoggio politico della Lega Araba e degli Usa. L'imponente campagna lanciata dai Paesi musulmani sunniti contro i ribelli sciiti Houthi dello Yemen ci dice tante cose. Tutte drammatiche.

La prima è che lo scontro settario tra sunniti e sciiti per il controllo del Medio Oriente è tutt'altro che concluso, anzi: per quanto possa sembrare incredibile, dopo tante stragi e distruzioni, forse non è ancora arrivato all'apice. Gli Houthi sono appoggiati dall'Iran e il mondo sunnita non è disposto ad accettare che lo Yemen, con la sua posizione strategica sul Golfo di Aden e a Sud delle monarchie petrolifere del Golfo, possa diventare un satellite diretto dagli ayatollah.

Ovviamente i Paesi che intervengono non la spiegano così, dicono che bisogna difendere la legittimità istituzionale rappresentata dal presidente Abd Rabbo Mansur Hadi, cioè dicono esattamente l'opposto di quanto dissero quando cercarono di rovesciare Bashar al Assad in Siria. E si tenga presente che il potere di Assad è formalmente non meno legittimo di quello di Abd Rabbo, che divenne presidente nel 2012 in un'elezione-farsa con un solo candidato, lui medesimo.

Ma l'imponente spedizione contro i ribelli sciiti dello Yemen ci dice anche un'altra cosa. Ci spiega, cioè, perché l'Isis non viene combattuto seriamente e quindi, almeno per il momento, nemmeno sconfitto. Tutti quei Paesi arabi sono disposti a buttare soldati in campo per affrontare, seppure per interposta persona, l'Iran e la sua influenza, ma non per eliminare l'Isis. Un po' perché l'Isis è figlio loro, un po' perché può sempre servire. Proprio come serviva quando l'obiettivo era eliminare Assad e mettere la Siria sotto tutela.

Ovviamente lo stesso ragionamento può essere fatto, a specchio, per l'Iran. Che in nome del settarismo sciita non ha esitato a destabilizzare un Paese che si stava faticosamente riprendendo dalla sua Primavera araba e che, comunque, era riuscito a cacciare il dittatore Saleh, rimasto al potere per 22 anni. Gli Houthi erano discriminati dalla maggioranza sunnita ma non possono pensare di governare il Paese, essendo poco più del 30% della popolazione, senza discriminare a loro volta la maggioranza sunnita.

L'esito più probabile, a questo punto, è una spartizione del Paese. Che resterà così uno dei più poveri, dei più armati e quindi dei più instabili del mondo, con il 63% della popolazione sotto i 25 anni d'età. Insomma, tutto come al solito.




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29 marzo 2015

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