Arrivano da Amnesty International due notizie sulla Nigeria, una positiva e l’altra molto preoccupante.
La prima è l’apprezzamento per la decisione dell’Eni di rendere finalmente pubblici i dati sull’impatto ambientale delle sue attività, ora riportati sul sito Internet Sustainability (
http://www.eni.com/en_NG/home.html) della Naoc (Nigerian Agip Oil Company), la consociata dell’azienda italiana. Qui sono online informazioni relative alla riduzione delle torce di gas (gas flaring), alle fuoriuscite di petrolio, alle valutazioni di impatto ambientale e ai progetti per le comunità locali.
La maggior trasparenza dell’Eni era stata promessa dall’amministratore delegato nell’assemblea generale degli azionisti dopo la richiesta di Amnesty che, dalla pubblicazione nel 2009 del rapporto su petrolio, inquinamento e povertà nel delta del fiume Niger, chiede alle multinazionali petrolifere di rendere pubbliche le informazioni sull’impatto delle loro operazioni sull’ambiente e i diritti umani.
Secondo l’Ong, infatti, le fuoriuscite e le dubbie indagini condotte per accertarne le cause minano il rispetto dei diritti umani in
una zona in cui il sostentamento di oltre il 60% della popolazione dipende dall’ambiente naturale. A causa delle fuoriuscite di petrolio, dello scarico di rifiuti e delle torce di gas prodotte dalle compagnie petrolifere – quali Shell, Total e la stessa Eni –,
gli abitanti sono costretti a usare acqua inquinata per bere, cucinare e lavarsi, a nutrirsi con pesce contaminato e a respirare agenti inquinanti.
Per Amnesty, è fondamentale che le informazioni fornite dall’Eni e dalle altre compagnie possano essere verificate in maniera indipendente. L’anno scorso, ad esempio, i dati divulgati dalla Shell presentavano gravi manchevolezze ed errori, come ha accertato un esperto statunitense in materia di oleodotti. È un punto cruciale:
se le fuoriuscite vengono attribuite ad atti di sabotaggio o al furto di petrolio, le comunità colpite non ottengono alcun risarcimento, nonostante l’impatto devastante della fuoriuscita su fonti di sostentamento, alloggi, cibo e acqua. Se invece la fuoriuscita è causata da errori della compagnia petrolifera, le comunità hanno diritto a un risarcimento. Peccato che nella maggior parte dei casi sia proprio la stessa compagnia petrolifera a stabilire la causa del danno e ciò rappresenta un evidente conflitto di interessi…
Con la pubblicazione online delle informazioni relative alle indagini sulle fuoriuscite, ci sarà ora maggiore possibilità di revisioni indipendenti.
La brutta notizia riguarda invece
l’aumento della violenza nel Nord-est della Nigeria, dove
nei primi tre mesi del 2014 sono state uccise almeno 1500 persone, oltre la metà delle quali civili, e, secondo l’Unhcr, 2 mila profughi si sarebbero rifugiati nel vicino Niger.
Le cause sono l’aumento degli attacchi del gruppo armato islamista Boko Haram e le rappresaglie incontrollate delle forze di sicurezza del Paese. Spiega
Netsanet Belay, direttore per la ricerca sull’Africa di Amnesty: «Siamo di fronte a un conflitto armato in cui tutte le parti stanno violando il diritto internazionale umanitario. Sollecitiamo la comunità internazionale ad assicurare indagini rapide e indipendenti su quelle azioni che potrebbero costituire crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Non si può continuare a girare lo sguardo di fronte alle esecuzioni extragiudiziali, agli attacchi contro i civili e agli altri crimini di diritto internazionale che vengono commessi su scala massiccia. La popolazione civile sta pagando un prezzo veramente pesante».
Più della metà delle uccisioni sono state commesse da Boko Haram, che ha deliberatamente preso di mira gli alunni e le loro scuole, spesso cristiane, come quella di Shuwa, bruciata il 26 febbraio, o quella di Buni Yadi, attaccata il giorno prima con decine di morti anche tra i bambini.
Ma Amnesty punta il dito anche contro «la brutale repressione delle forze governative».
Nel rapporto
“Più di 1500 uccisioni nel conflitto armato”, sottolinea la data del 14 marzo, quando Boko Haram ha attaccato la base militare di Giwa, nella città di Maiduguri (Stato di Borno), liberando diverse centinaia di detenuti. Dopo che l’esercito ha ripreso il controllo della situazione,
intorno alla città sono stati trovati oltre 600 corpi, per lo più di detenuti nuovamente catturati e privi di armi. Sulla base di interviste con abitanti, avvocati, attivisti per i diritti umani e personale medico degli ospedali della zona nonché di immagini satellitari, l’Ong ha ricostruito gli eventi e localizzare tre possibili fosse comuni. Commenta Netsanet Belay:
«La dimensione delle atrocità compiute da Boko Haram è veramente scioccante e ha contribuito a creare un clima di paura e d’insicurezza. Ma questo non può giustificare la
brutalità della risposta che va chiaramente attribuita alla forze di sicurezza».
Tra le testimonianze raccolte, Ibrahim, un abitante di Maiduguri, ha descritto cosa è accaduto quando i militari hanno trovato 56 degli evasi dalla base di Giwa: «Erano in una scuola. Hanno cominciato a urlare “Non siamo di Boko Haram, siamo dei detenuti!”. Io e i miei vicini abbiamo visto i soldati portare gli uomini in un posto chiamato “la terra di nessuno”, dietro l’Università. Hanno aperto il fuoco, li hanno uccisi tutti e 56 di fronte a noi».
Altri testimoni oculari hanno raccontato come membri della “Task force civile congiunta” – gruppi di civili che collaborano con l’esercito nigeriano – hanno catturato altri ex detenuti nel quartiere di Jiddari Polo, sempre a Maiduguri, e li hanno consegnati ai soldati.
In questo caso, sono state uccise oltre 190 persone.
Un altro testimone riferisce: «Ho visto i soldati ordinare loro di sdraiarsi a terra. Poi si è aperta una discussione con la Task force. I soldati hanno fatto alcune telefonate e pochi minuti dopo hanno iniziato a sparare. Ho contato 198 corpi».
A queste uccisioni sommarie, vanno aggiunti numerosi decessi di persone imprigionate in relazione a quanto sta accadendo nel Nord-est del Paese.
Amnesty International ha chiesto alla Commissione africana e alle Nazioni Unite di assistere la Nigeria nelle indagini su queste azioni e di occuparsi immediatamente del conflitto nella Nigeria nordorientale: «Chiediamo di condannare i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità commessi da entrambe le parti. Il mese prossimo, la Nigeria assumerà la presidenza del Consiglio per la pace e la sicurezza dell’Unione africana. L’Unione africana deve chiedersi fino a che punto i suoi Stati membri
stiano mantenendo l’impegno di promuovere i principi dell’Unione africana e il rispetto dello stato di diritto e dei diritti umani».
Stefano Pasta