Bambini, non soldati
12/02/2016Nel mondo ci sono 250 mila bambini soldato, secondo i dati della “Coalizione italiana Stop all’uso dei Bambini Soldato”. Questi ragazzini sono al tempo stesso vittime e carnefici. Ma prima di tutto vittime, perché viene rubata loro l’infanzia.
-
Bambini soldato in Centrafrica (Foto Reuters)
-
Il manifesto della campagna.
-
-
La riabilitazione dell'Unicef a ex ragazzi soldato della RD Congo (Foto UNICEF/Asselin).
-
RD Congo (Foto UNICEF/Asselin).
-
Repubblica Centrafricana (Foto UNICEF/Sokol).
-
Il simbolo della campgna "Stop ai bambini soldato".
-
Repubblica Centrafricana (Foto UNICEF/Sokol).
-
-
Repubblica Centrafricana (Foto UNICEF/Sokol).
-
Repubblica Centrafricana (Foto UNICEF/Sokol).
Henri, liberiano, racconta così la sua vita da bambino soldato: «Ci davano tonnellate di droga tutto il tempo, per farci sentire forti e coraggiosi e per obbedire ai loro ordini, non importava quali fossero. Spesso prendevo oppio e valium. Penso che siano molte le cose che non riesco a ricordare a causa della droga che ci davano. Ero come controllato da demoni, ma io so che sono quello che ha commesso di tutto e mi sento male quando penso a tutto ciò che ho fatto. Non esiste niente peggio della guerra».
Il 12 febbraio si celebra, ogni anno, la Giornata internazionale contro l’uso dei bambini soldato. In questa data nel 2002, è entrato in vigore il Protocollo Opzionale alla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ratificato da 153 Stati: uno strumento giuridico ad hoc che stabilisce che nessun minore di 18 anni possa essere reclutato forzatamente o utilizzato direttamente nelle ostilità.
Tuttavia, oggi sono più di 250 mila i bambini e gli adolescenti arruolati negli eserciti regolari e irregolari del mondo. Un numero in aumento, perché adatti alla nuova natura delle guerre, non più una contrapposizione armata tra Stati, ma l’esplosione di crisi interne in cui si misurano tra loro fazioni politiche, gruppi religiosi o etnici. I minori imparano presto a usare le armi leggere, automatiche, che costano relativamente poco: oggi un bambino può utilizzare un AK-47 come un adulto. Inoltre, non si ribellano alle azioni più pericolose e si fanno indottrinare con maggiore facilità; lo spiega bene un ufficiale dell’esercito del Ciad: «I bambini soldato sono ideali perché non si lamentano, non si aspettano di essere pagati e se dici loro di uccidere, loro uccidono».
Come segnala la “Coalizione Italiana Stop all’Uso dei Bambini Soldato” (di cui fanno parte Alisei, Cocis, Coopi, Save The Children, Telefono Azzurro, Terre des Hommes e Unicef, con capofila Intersos), nelle “nuove” guerre di questi mesi è confermata la brutta pratica del ricorso ai bambini soldato. In Repubblica Centrafricana, almeno 6.000 bambini sono coinvolti nei combattimenti, così come in Siria e in Sud Sudan.
Spesso sono rapiti e allontanati dalle loro case; in Sri Lanka, una madre di un bambino rapito dalle milizie Karuna ha raccontato agli operatori di Human Rights Watch: «Abbiamo visto i nostri bambini all’ultimo piano dell’ufficio del partito. I bambini ci hanno fatto segno di andare via o sarebbero stati colpiti».
Zachariah, in Congo, aveva 12 anni quando i soldati di un gruppo armato hanno circondato la sua scuola situata in una zona rurale del Nord-Kivu e lo hanno condotto assieme a molti altri compagni nella foresta. Dei compagni di scuola dice: «La maggior parte sono morti». Dopo la smobilitazione, è tornato al suo villaggio natale per ritrovare i genitori e le sorelle che non aveva più rivisto, ma sei settimane dopo, uomini fedeli al generale Laurent Nkunda, indagato alla Corte penale internazionale, lo hanno cercato a casa sua: «Mi hanno chiesto l’attestato di uscita dalle forze armate, l’hanno strappato e mi hanno picchiato. Hanno accusato mio padre di ospitare un disertore e l’hanno fatto cadere a terra. Poi hanno saccheggiato la casa, mi hanno legato e mi hanno portato via. Quando sono arrivato al loro campo, ero talmente impaurito che li ho implorati di prendermi a lavorare con loro». Una notte, Zachariah è riuscito a scappare e ora si è rifugiato in un Centro di transito e orientamento.
Ci sono invece dei ragazzi che aderiscono come volontari, per sopravvivere, perché c’è di mezzo la fame o il bisogno di protezione. Sempre in Congo, per esempio, nel ’97 quasi 5 mila adolescenti hanno aderito all’invito di arruolarsi, fatto attraverso la radio: erano per la maggior parte “ragazzi di strada”. In alcuni casi, ciò che spinge i ragazzi a chiedere la divisa è il desiderio di ritrovare un’identità o la volontà di rivalsa. Il desiderio di vendetta li spinge ad imbracciare un fucile o un machete per scaricare il dolore nella violenza quando, fatto ricorrente nelle guerre etniche, hanno visto i propri genitori o parenti subire violenze da parte del gruppo opposto.
Particolarmente esposte alla violazione dei diritti sono le bambine e le ragazze, spesso rimaste orfane di entrambi i genitori, uccisi durante i combattimenti, o rapite durante le incursioni dei gruppi di ribelli. Una volta arruolate, vengono ridotte in schiavitù e costrette a soddisfare i desideri, anche sessuali, dei combattenti. Il rischio di contrarre l’Hiv ed altre malattie sessualmente trasmissibili è molto elevato, così come le probabilità di restare incinta. Quando queste ragazze riescono a rientrare nei programmi di disarmo e riabilitazione, ci sono delle difficoltà aggiuntive: devono affrontare il severo giudizio della loro comunità d’origine, che identificano i loro bambini come “figli dei ribelli” e tendono a stigmatizzarle e ad attribuire alle stesse ragazze la colpa di quanto loro accaduto.