Tra le bandiere sventolate con rabbia a Los Angeles, San Francisco e diverse grandi città della California, una domina su tutte: quella messicana. Verde, bianca e rossa, con l’aquila che ghermisce il serpente, è diventata il simbolo delle proteste contro l’ICE, l’agenzia federale per l’immigrazione, accusata di condurre retate aggressive contro presunti migranti irregolari. A manifestare non sono solo stranieri: molti, nati negli USA da famiglie messicane, sventolano quella bandiera in segno di identità e solidarietà, senza sentire alcuna contraddizione con la propria cittadinanza americana.
Le proteste sono esplose dopo che l’ICE ha perquisito diversi negozi e magazzini, arrestando 45 persone. Gli scontri più accesi a Paramount e Compton: slogan, barricate, un’auto incendiata. Trump ha risposto con 2000 agenti della Guardia Nazionale. Una mossa definita «provocatoria» dal governatore californiano Gavin Newsom.
Tra i manifestanti si vedono anche bandiere ibride, che fondono simboli messicani e statunitensi, o vessilli di El Salvador e persino del Burkina Faso, a rappresentare l’intera diaspora ispano-africana.
Mentre nelle strade si alzano cori e fumogeni, nelle stanze del potere si consuma l’ennesimo spettacolo surreale: Trump e Musk si azzuffano pubblicamente sugli Epstein Files e sull’ipotesi di espellere Musk, cittadino sudafricano, ma proprietario di aziende che alimentano l’economia americana. Lo stesso Paese che, nel frattempo, espelle chi lo manda avanti in silenzio.
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