Centrafrica, I leader religiosi: «Occorre l’intervento dell’Onu»
25/01/2014La nuova Capo dello Stato, Catherine Samba-Panza, si insedia in un Paese devastato dagli scontri. L'appello congiunto dell’Arcivescovo e dell’Imam di Bangui (la capitale) chiede alle Nazioni Unite di intervenire, per rimettere in piedi uno Stato che non c'è più.
Il nuovo Presidente della Repubblica Centrafricana, la
signora Catherine Samba-Panza, ha prestato giuramento il 23 gennaio
in un Paese devastato dagli scontri tra gli ex ribelli Seleka e le
milizia anti-balaka.
Sovente descritta come conseguenza di un
conflitto interreligioso che oppone i cristiani ai musulmani, la
situazione centrafricana deriva in realtà dal tracollo delle
istituzione statali, come hanno sottolineato l’arcivescovo di
Bangui, monsignor Dieudonné Nzapalainga e l’imam Oumar Kobine
Layama, presidente della Comunità islamica centrafricana.
I due
capi religiosi sono impegnati in un tour delle capitali europee per
chiedere aiuto e sostegno al loro Paese. L’Arcivescovo e l’Imam
che si sono prodigati per pacificare gli animi nel corso di diverse
visite congiunte in chiese e moschee dove hanno trovato rifugio
migliaia di sfollati, riferiscono che mentre la situazione a Bangui è
relativamente sotto controllo, il resto del Paese è alla mercé di
Seleka e degli anti-balaka.
Felicitandosi per l’elezione della Presidente
Samba-Panza, (definita “una donna di ferro” dall’Imam Kobine
Layama) monsignor Nzapalainga ha insistito sul fatto che il nuovo
Capo dello Stato si trova di fronte a un compito improbo perché
l’amministrazione statale è completamente collassata. «Su
36 ministeri, solo due funzionano, la Difesa e l’Amministrazione
del territorio», ha detto
l’Arcivescovo. «Lo Stato è
fallito. Occorre ricostruire l’amministrazione con uomini e mezzi,
perché possa dispiegarsi su tutto il territorio e permettere al
Paese di essere uno Stato».
I
due leader religiosi chiedono che la missione militare africana
attualmente dispiegata nel Paese (Misca) divenga parte di una forza
più ampia sotto l’egida dell’Onu, per mettere in sicurezza tutto
il territorio nazionale.
Attualmente vi sono in Centrafrica 6 mila tra militari
francesi della forza Sangaris e quelli africani della Misca. Troppo
pochi per controllare un Paese vasto quanto la Francia e il
Lussemburgo, ha sottolineato Mons. Nzapalainga: «Con
le forze dell’Onu, il Centrafrica non sarà più un affare africano
o europeo, ma mondiale».
La Caritas Italiana, in
coordinamento con la rete internazionale, è impegnata da mesi nel
sostegno dell’enorme impegno della Chiesa locale che si è subito
mobilitata nonostante le pesanti difficoltà per aiutare le
popolazioni vittime della crisi e per promuovere la pace.
La Caritas ha già fornito
aiuti alimentari a oltre 5 mila persone in grave stato di
malnutrizione, nonché sementi e attrezzi agricoli per la ripresa
della coltivazione.
Caritas Italiana «si
unisce all’appello dei Vescovi del Centrafrica per un immediato
cessate il fuoco e il ritorno della pace».
Appena insediata alla guida
del Paese, anche la neo presidente di transizione Catherine
Samba‐Panza ha lanciato un appello: «È
importante»,
ha detto, «che
i nostri fratelli dei Paesi dell’Unione Africana continuino ad
inviare truppe. Incoraggiamo anche le nazioni dell’Unione Europea a
sostenere la missione della Francia. I soldati attualmente dispiegati
non sono abbastanza numerosi per ristabilire l’ordine e la
sicurezza».
Samba Panza si è rivolta
anche ai due principali gruppi rivali, gli ex ribelli della
coalizione Seleka e i miliziani dei gruppi di autodifesa Anti‐Balaka,
ribadendo la sua volonta di aprire con loro un dialogo. Per la
Presidente le violenze degli ultimi mesi tra musulmani e cristiani
hanno «come
radice la poverta. Quando una parte della popolazione non vede alcun
progresso e non gode delle stesse opportunita di accesso alle risorse
economiche rispetto a un altro gruppo, questo crea frustrazioni e
porta a un ripiego sulla propria identità che poi si trasforma in
esplosione. Tutti sentimenti che sono stati manipolati, in
particolare gli aspetti relativi all’appartenenza religiosa».