Dalla guerra in Siria al red carpet di Venezia. Anzi no, «altro che red carpet, il nostro sarà un tappeto bianco di spose!
A ricordare al mondo che siamo stufi di contare i morti di viaggio lungo le nostre coste e di dividere gli uomini e le donne in legali e illegali. Che questo matrimonio mediterraneo abbia inizio!».
I registi
Antonio Augugliaro, Gabriele del Grande e Khaled Soliman Al Nassiry annunciano
l’anteprima al Festival del Cinema di “Io sto con la sposa”. Spiegano:
«Un film documentario ma anche un’azione politica, una storia reale ma anche fantastica, tutte queste cose insieme. E questo suo carattere ibrido ha dettato fin dall’inizio delle scelte precise. Non abbiamo scritto dialoghi né personaggi, ma abbiamo organizzato il viaggio ragionando per scene, abbiamo cioè immaginato delle situazioni all’interno delle quali far muovere liberamente i nostri personaggi, ormai abituati alla presenza delle telecamere».
Come è nata l’idea? In Stazione Centrale a Milano, dove dallo scorso ottobre a oggi sono passati almeno 17 mila siriani, Al Nassiry, un poeta palestinese siriano, e Del Grande, giornalista italiano fondatore del blog Fortress Europe, incontrano
cinque siriani palestinesi sbarcati a Lampedusa in fuga dalla guerra, e decidono di aiutarli a proseguire il loro viaggio clandestino verso la Svezia.
«Quale poliziotto di frontiera chiederebbe mai i documenti a una sposa?», si domandano. E così,
per passare le frontiere europee, mettono in scena un finto matrimonio, coinvolgendo un’amica palestinese che indossa un abito da sposa, e una decina di amici italiani e siriani che si travestono da invitati.
Così mascherati, attraverseranno mezza Europa, in un viaggio di quattro giorni e 3.000 chilometri. Un viaggio carico di emozioni che oltre a raccontare le storie e i sogni dei cinque siriani in fuga e dei loro speciali contrabbandieri, mostra un’Europa sconosciuta.
Un’Europa transnazionale, solidale e goliardica che riesce a farsi beffa delle leggi e dei controlli della Fortezza con una mascherata che ha dell’incredibile, ma che altro non è che il r
acconto in presa diretta di una storia realmente accaduta sulla strada da Milano a Stoccolma tra il 14 e il 18 novembre 2013, passando per Grimaldi, Mentone, Marsiglia, Nancy, Lussemburgo, Bochum, Copenaghen e Malmö.
Per i cinque siriani in fuga dalla guerra, il rischio è di essere fermati e obbligati, in base all’Accordo europeo di Dublino, a chiedere asilo politico in Italia, un Paese che per loro è solo di transito e dove non desiderano stare: vogliono andare nel nord Europa.
I registi e la troupe rischiano invece una condanna fino a 15 anni di carcere per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
A Mentone, passano in Francia sul vecchio sentiero del passo della morte, quello che usavano i nostri nonni emigranti: «E lì tra le montagne», racconta Gabriele Del Grande, «abbiamo visto il confine: una vecchia rete di ferro, arrugginita come l’idea di immobilità che ancora permea le nostre leggi e la nostra cultura».
Il viaggio è stato un atto di disobbedienza civile: «Dire che stiamo dalla parte della sposa per noi è immaginare il futuro. Un futuro dove i confini saranno vecchie reti arrugginite».
Le riprese hanno sempre dovuto mediare con le esigenze dei protagonisti, che in Svezia ci dovevamo arrivare per davvero, non tanto per fare un film. E dovevano arrivarci nel più breve tempo possibile.
«Questo», spiega Del Grande, «ha comportato ritmi di lavoro durissimi: dodici ore di macchina al giorno, le scene da filmare, i file da scaricare e, quando andava bene, tre ore di sonno a notte. Se la troupe non ci ha piantato il primo giorno, è stato per il clima che si è creato:
condividere un grande rischio e un grande sogno ci ha inevitabilmente unito».
A Venezia, il 4 settembre è il giorno dell’anteprima, in attesa del 9 ottobre, quando il film sarà nelle sale italiane. Ci saranno anche i
cinque protagonisti, che nel frattempo hanno ottenuto l’asilo politico: tre in Svezia, tra cui lo sposo, due in Italia, dove sono stati rispediti dalle autorità svedesi nonostante la loro volontà, poiché, prima del viaggio, erano stati fermati e identificati con le impronte digitali.
Così impongono quelle leggi europee che il film vuole combattere.
Ma al Lido ci saranno anche tanti invitati vestiti in giacca e cravatta e tante invitate in abito bianco: è l’ultima trovata, “bischerata” per dirla con il toscano Del Grande, per dire che si sta dalla parte della sposa, ormai simbolo della libertà di circolazione in Europa.
Dopo la proiezione ci sarà un momento di commemorazione per le vittime della frontiera sulla sponda del mare: ogni partecipante scriverà un pensiero rivolto a loro,
tutti i messaggi saranno poi infilati in una bottiglia e lasciati trasportare dalle correnti del mare.
Infine, Del Grande sottolinea un’altra caratteristica del film:
«Con 100 mila euro raccolti soprattutto in Italia ma anche in altri 30 paesi, è il più grande crowdfounding della storia del cinema italiano. “Io sto con la sposa” ha ben
2.617 produttori dal basso, che hanno inaspettatamente finanziato il nostro lavoro con singole donazioni».
Stefano Pasta