Pioggia, fango, auto trascinate da corsi d’acqua che inghiottono l’asfalto. Sono immagini che in questi ultimi giorni intasano i telegiornali mostrandoci un’Emilia Romagna in ginocchio, piegata sotto i colpi dell’alluvione che non dà tregua. Le riprese provengono dai centri maggiormente danneggiati, eppure una cosa stupisce: nessuna di loro arriva da Sant’Agata sul Santerno o da Conselice, due piccoli comuni nella provincia di Ravenna che attualmente versano ancora in condizioni disperate.
A rimediare ci ha provato Giacomo Bellavista, fotografo riminese che da dieci anni segue il “Meeting di Rimini” (il nome ufficiale è “Meeting per l’amicizia fra i popoli”), una manifestazione di cui ora è il responsabile della fotografia. «Oltre a me ci sono una quarantina di volontari, provenienti da tutta Italia, che scattano foto», ha spiegato il trentaquattrenne, «sono stati loro a chiamarmi da ogni paese dell’Emilia Romagna per domandarmi se potevo accompagnarli nel riportare ciò che stava accadendo. Tendenzialmente odio il turismo del dolore e quando succedono queste tragedie cerco di starne lontano, perché fotografarle mi mette a dura prova. Ma un’amica mi ha chiesto di foto lo spirito con cui gli abitanti stavano reagendo, e così ho accettato».
Cesena, Lugo, Forlì: Giacomo ha iniziato a immortalare quello che vedeva, sentendo che a dispetto di ciò che credeva «c’era un’utilità» in quello che stava facendo, perché «la gente aveva bisogno che la propria storia venisse raccontata». Ma è a Sant’Agata sul Santerno che il suo arrivo è stato accolto in maniera bizzarra, prima con astio e poi con immensa gratitudine. «Appena sono arrivato un signore – che poi ho scoperto chiamarsi Alfio – è come impazzito: ha iniziato a urlare cose del tipo “Ci avete messo una settimana intera per arrivare qui, avete ripreso solo le zone in cui sono andati anche i politici, nessuno è venuto da noi!”. Mi aveva chiaramente scambiato per un reporter». Quando è riuscito a spiegargli che lui non era lì per cercare sensazionalismi ma solo per mostrare «come il bene vince sul male», l’uomo lo ha condotto fra le strade messe peggio, per poi chiedergli di diffondere le foto il più possibile: «Mi ha detto “Se riesci a fare arrivare queste immagini da qualche parte te ne saremmo grati, perché finora qui non si è vista nemmeno l’ombra di un giornalista”. Non c’era stata neanche una persona che si fosse mobilitata per far vedere cosa stava succedendo: era questo il motivo della rabbia di Alfio».
Un grande aiuto, fortunatamente, è arrivato dai giovani volontari, tutti fra i 20 e i 30 anni, che da subito si sono attivati per dare una mano a sgombrare le strade dal fango. Come negli altri paesi, anche qui era presente la Protezione Civile; il lavoro manuale nelle case, però, è stato svolto principalmente dai ragazzi, che nell’arco di un paio di giorni si sono organizzati per arrivare sul posto. «Si sono messi d’accordo attraverso gruppi Telegram e Facebook», ha spiegato Giacomo, «poi si sono presentati con i badili e tutto il resto e si sono messi a pulire. A un gruppo di ragazzi ho chiesto se fossero tutti amici, mi hanno risposto di no: si erano conosciuti il giorno prima».
Come Sant’Agata, anche Conselice è in grave difficoltà: l’acqua, qui, è ancora alta un metro e mezzo. «La cugina di un amico abita lì, la sua casa ieri era 2 metri sott’acqua. Il paese è in una conca, gli abitanti stanno aspettando che l’acqua scenda per poi entrare nelle case, solo che l’acqua anziché diminuire continua ad aumentare». In questo centro Giacomo non è ancora andato, e non è certo di riuscire a farlo: è provato emotivamente, e non vuole che il suo lavoro rischi di diventare poco “oggettivo”. «Voglio solo essere il portavoce di qualcosa che altrimenti non arriverebbe ad altri, non voglio “fare il fenomeno”», ha infatti dichiarato. «C’è bisogno di portare l’attenzione sui paesini più piccoli come Sant’Agata e Conselice, perché non li sta guardando nessuno, eppure sono veramente i più colpiti: è su di loro che andrebbero concentrate adesso le forze».