I bambini africani tifano per lo sport e la scuola. Per poterli praticare
28/06/2014Per 30 milioni di minori in Africa subsahariana la campanella non suona mai. Il 28% di loro sarà del tutto analfabeta. È il grido d'allarme dell'Unicef. Ma un progetto dell'agenzia Onu per l'infanzia mira a portare a scuola un milione di bambini. E a formare 10 insegnanti donne, per favorire l'accesso delle bambine.
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Il piccolo mozambicano tifoso dell'Italia. E' adottato a distanza in un progetto sostenuto dall'Unicef (tutte le foto sono Unicef).
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Una partita del "Mondiale locale" organizzato dalle studentesse del liceo di Saveglu, nel Nord del Ghana.
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Si gioca anche nel campo profughi del Ciad.
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L'Associazione delle madri nata a sostegno della scuola di Toro, nel Nord della NIgeria.
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La ragazzina in piedi è Kasimu Liman, i cui genitori hanno deciso che tutti i 15 figli (di cui 11 ragazze) andranno a scuola.
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Primo piano di Kasimu Liman.
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Nonostante la guerra civile più che ventennale, in Somalia si gioca ancora a calcio.
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La partita di pallavolo si svolge in Sud Sudan, il più giovane Stato africano (nato nel 2011 dalla secessione dal Sudan).
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Partita fra disabili in Uganda.
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"Pallavolo seduta" in Uganda.
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La locandina Unicef sulla campagna per il diritto all'istruzoine.
In
Africa, i Mondiali brasiliani sono seguiti da molti bambini, che si
dividono tra tifosi delle nazionali africane qualificate (Camerun,
Algeria, Costa d’Avorio, Nigeria e Ghana) e quelle più forti di
altri continenti: poco prima della partita con l’Inghilterra,
l’Unicef ha pubblicato una foto di un bambino mozambicano adottato
a distanza.
Maglia azzurra e tifo a squarciagola per l’Italia.
Nel
mondo, sono tanti i minori che si sfidano cercando di imitare Messi e
Balotelli; eppure, sebbene lo sport e il gioco siano diritti
riconosciuti dalla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e
dell’adolescenza (art. 31), non sempre sono rispettati e
specialmente i bambini africani faticano a “qualificarsi”.
Spesso
la chiave è la scolarizzazione, come dimostra il “Mondiale locale”
organizzato dalle studentesse del liceo di Saveglu, nel nord del
Ghana. Alcune di loro preferiscono giocare scalze, per non rovinare
le scarpe.
Lo
ha ricordato l’Unicef il 16 giugno scorso, Giornata del bambino
africano, occasione per lanciare un allarme: in Africa
Centrale e Occidentale, 1 bambino su 5 in età scolare non è mai
entrato in un’aula scolastica. Secondo l’Unesco, degli oltre 30
milioni di bambini in età da elementare per cui in Africa
subsahariana non suona la campanella, due terzi (19 milioni) vivono
in Africa Centrale e Occidentale. Vuol dire che il 28% dei bambini
della regione rimarrà completamente analfabeta, né potrà giocare e
fare sport come sarebbe loro diritto.
Tra il
2000 e il 2007 erano stati raggiunti traguardi considerevoli nel
migliorare l’accesso all’istruzione primaria, ma dal 2008 i
progressi sono in totale stallo. «Serve un maggior numero di aule
scolastiche e di insegnanti – spiega l’Unicef – ma solo questi
elementi non sono sufficienti a portare a scuola milioni di bambini,
in particolare coloro che si trovano più ai margini. Le famiglie
spesso non possono sostenere le tasse scolastiche o i costi dei
materiali didattici».
Una
seconda sfida indicata da “The Global Initiative on Out of School
Children” riguarda la scarsa qualità dell’istruzione offerta in
molte scuole, che, tra l’altro, dimenticano che lo sport e spazi
adeguati per praticarlo sono un diritto per tutti i minori.
Sempre
nell’Africa subsahariana, infatti, milioni di bambini che
frequentano stanno apprendendo poco. Commenta Leila Gharagozloo
Pakkala, direttore dell’Unicef per la regione: «Con classi
sovraffollate, insegnanti e materiali didattici insufficienti, un
gran numero di bambini ripete i cicli e abbandona la scuola senza
padroneggiare le basi. Questa è una grave preoccupazione, visti gli
stretti legami tra risultati di apprendimento e le economie
nazionali».
Inutile
dirlo, i gruppi più vulnerabili, come i bambini disabili o delle
minoranze, sono più facilmente esclusi dal diritto alla scuola e a
praticare sport. Tra di loro, ci sono anche le bambine, che hanno
opportunità più basse di frequentare perché, soprattutto nelle
famiglie povere e nelle aree rurali, devono spesso badare alla
famiglia.
Molto importante è incoraggiare chi riesce a fare una
scelta diversa. Come i genitori di Kasimu Liman, dodicenne nigeriana
che frequenta una scuola coranica a Toro e sogna di diventare una
dottoressa. «L’aiuterò in ogni modo a realizzare il suo sogno»,
spiega il padre che ha voluto che tutti i suoi 15 figli, incluse le
11 femmine, frequentassero la scuola in un Paese, la Nigeria, dove 10
milioni e mezzo di minori sono fuori dal sistema scolastico. Il 60% è
nel Nord, la zona di Boko Haram, e la percentuale sale tra le
femmine.
Il padre di Kasimu è un “malam”, come i maestri delle
scuole coraniche sono conosciuti nel Nord, e ha una forte influenza
sulla sua comunità. Quando l’Unicef e la cooperazione britannica
hanno finanziato il progetto sulla sua scuola, ha accettato di
introdurre, accanto alla memorizzazione del Corano, la lingua hausa e
l’inglese, scienze, matematica e informazioni per la vita di ogni
giorno, come l’anatomia.
Racconta Abdulai Kaikai, che guida
l’ufficio locale dell’Unicef: «Incontriamo ancora delle
resistenze a iscrivere i bambini, e particolarmente le bambine.
Questo è in parte dovuto alla sfiducia verso quella che è
considerata un’educazione occidentale, ma anche al poco
riconoscimento del valore della scolarizzazione e alla bassa qualità
dell’insegnamento».
Tuttavia, il progetto mira a portare a scuola
1 milione di bambine in più entro il 2020, a formare 10 mila
insegnanti donne dato che la prevalenza di maestri uomini scoraggia
la frequenza delle bambine e a sostenere l’Associazione delle
Madri, che è nata attorno alla scuola e si sta impegnando per la
scolarizzazione femminile.
Stefano Pasta