In Brasile si chiamano
Apac (Associazioni di Protezione e Assistenza ai Condannati). Sono centri di recupero dove l'accento cade sul
processo di riabilitazione e di
reinserimento nella società per i condannati, più che sull'aspetto punitivo della detenzione.
Non vi sono guardie carcerarie né armi, perché sono gli stessi detenuti, "autogestendosi", a essere responsabili in prima persona della sicurezza dell'istituto.
A chi già storce il naso, basti pensare che in Brasile il tasso medio di
recidiva arriva fino all'85 per cento, mentre per i 3 mila detenuti
nei centri Apac è sceso fino al 10 per cento. Inoltre, il costo di costruzione di un
posto/persona è pari a un terzo del costo del carcere comune e quello di
mantenimento è la metà.
Una forma di
detenzione rispettosa dei diritti umani del condannato, quindi, sia per quanto riguarda le condizioni di espiazione della pena, sia per le attività di
formazione professionale propedeutiche al futuro reinserimento nella società.
Di questi aspetti e della possibilità di approntare anche in Italia una metodologia Apac, si discuterà, il
29 novembre in Senato, nel convegno
"Carceri e dignità - Da Italia e Brasile esperienze da imitare" organizzato da
EUROsociAL,
Fondazione Avsi e
Cooperativa Giotto, con la presenza del ministro della Giustizia
Annamaria Cancellieri, del presidente della Commissione diritti umani del Senato
Luigi Manconi e del presidente della delegazione italiana al Consiglio d’Europa
Sandro Gozi.
Per maggiori informazioni consultare il sito:
www.avsi.org